di Gianni Quilici
Leggo questo romanzo del 1999 (pubblicato da Einaudi nel 2006), di Fred Vargas, scrittrice francese, tradotta in 22 paesi, considerata l'anti-Patricia Cornwell. Leggo e attraverso diversi stati d'animo, che certo hanno a che fare con il romanzo, ma riguardano anche e forse sopratutto la mia soggettività.
La prima impressione è superficialmente negativa. Leggo il risvolto di copertina: si parla di un lupo che uccide, ma forse, si scrive, non è una bestia, potrebbe essere un lupo mannaro. La storia non attira il mio immaginario...
Tuttavia inizio a leggere (mi ricordo una recensione entusiasta di uno scrittore-critico-filosofo, Beppe Sebaste, che mi spinse a comprare alcuni dei romanzi della Vargas), fino ad arrivare al punto in cui scatta la seconda impressione: mi avvince.
Essere avvinti è una delle ragioni del leggere. Non l'unica, ma importante. Si legge, perché si vuole conoscere anche lo sviluppo e la conclusione di una storia. A volte perché c'è un enigma; a volte, per l'intensità che trasmette. Qui c'è una visione, che diventa concatenazione, suspence: nel Mercantour, nel Sud della Francia, la presenza dei lupi non è strana, ce n’è un gruppo intero e ognuno di loro ha un nome. C’è pure un giovane canadese che è venuto apposta per fare delle ricerche su di loro. Ad un certo punto, però, iniziano le stragi di pecore negli ovili - gli squarci sulla gola delle bestie fanno pensare a un lupo di enormi dimensioni. Può essere il grosso Crassus che non è stato avvistato da tempo? Finché muore una donna, il che è strano, perché i lupi non attaccano le persone e Suzanne non era certo così stupida da averlo provocato. E i sospetti cadono su un macellaio, che non ha peli ed è un solitario ...
Infine la terza ultima impressione: Fred Vargas è un'abilissima narratrice, non a caso sforna un best seller quasi ogni anno. Il viaggio a tre della ragazza, del vecchio che si sente in colpa per non aver saputo difendere Suzanne e del ragazzo nero, che è stato adottato dalla ruvida e generosa Suzanne, è efficace sia scenograficamente: l’arrancare del camion per bestie sulle stradine nello scenario vasto e impenetrabile della montagna; che per i dialoghi e i pensieri sotterranei che corrono tra loro. Però alla Vargas più che la vericidità della storia, della sua profondità, interessano i colpi di scena e la costruzione di personaggi buoni o simpatici che finiscano per generare partecipazione e identificazione. Il segnale più significativo è come l'assassino sia poco plausibile psicologicamente e come invece sia sconvolgente narrativamente. E come tutto venga spiegato con una banale e deterministica storia. Mi resta difficile immaginare, infatti, che un romanzo come questo si abbia il desiderio di ri-leggere.
L'uomo a rovescio (L'homme à l'envers) di Fred Vargas. Traduzione di Yasmina Melaouah. Einaudi 2006. € 15.50