03 settembre 2009

“Incidenti” di Roland Barthes .

di Gianni Quilici

“Incidenti”, tre testi di Roland Barthes, che hanno in comune una scrittura immediata: non teorica ma narrativa; non (per certi versi) oggettiva, ma (per certi versi) soggettiva, autobiografica. C'è un corpo dietro le parole che percepiamo, che sentiamo. A volte, leggero, soltanto gli occhi; altre invece l'intera presenza con il suo carico.

E' l'ultimo Barthes, quello per intenderci dei “Frammenti di un discorso amoroso”, di “Barthes di Roland Barthes”, de “La camera chiara”. Quello su cui lo stesso Barthes impareggiabilmente ragiona in alcune delle bellissime interviste “La grana della voce”, tutte edite da Einaudi.

Il primo testo è poco più di un articolo La luce del Sud-Ovest.
L'inizio: “Oggi, 17 luglio, il tempo è splendido. Seduto su una panchina, strizzando l'occhio, per gioco,come fanno i bambini, vedo una margherita del giardino, sovvertita ogni proporzione, appiattirsi sul prato di fronte, dall'altro lato della strada.”. C'è il tempo presente, c'è l'io dello scrittore, il suo sguardo dettagliato-ironico-affettuoso, che poi si allarga alla strada-paese per diventare una riflessione storico-geografica-ambientale sul (suo) Sud-Ovest francese con al centro un elemento che diventa poetico: la luce.
Per dare soltanto un'idea, scrive Barthes: “Inizia allora la gran luce del Sud-Ovest, tutt'insieme nobile e sottile; mai grigia, mai bassa, è una luce-spazio definita non tanto dai colori di cui riveste le cose quanto dalla qualità eminentemente abitabile che conferisce alla terra. (...) Occorre vederla, quella luce (direi quasi: ascoltarla, tanto è musicale)...”

Ad un certo momento Barthes immagina l'obiezione possibile: “Lei parla soltanto del tempo che fa, d'impressioni vagamente estetiche, comunque puramente soggettive. E gli uomini, i rapporti, le industrie, i commerci, i problemi?”
La risposta è, per così dire, politica, anche se non ne ha l'apparenza ed è, a mio parere, un'intuizione, da approfondire e ampliare. Risponde Barthes: “ Poiché “leggere” una terra, è anzitutto percepirla secondo il corpo e la memoria, secondo la memoria del corpo”.
C'è qui un segno “saltato” dalla politica ed anche dall'analisi sociologica: la percezione del corpo e della memoria del corpo, che richiama parole come “la storia e la cultura di un territorio”, “i sentimenti visibili ed invisibili” “il rapporto tra gli uomini e la Terra”.

Leggo questi giorni, su l'Unità, un'intervista di Pietro Spataro al poeta Andrea Zanzotto, che attualizza queste riflessioni sul territorio italiano oggi.
Dice Zanzotto: “Il tragico scempio della natura commesso in quest'ultimo quarantennio costituisce un vero e proprio monumento ad una più generale tendenza autodistruttiva della psiche umana. Che non viene più percepita come tale ma avvertita invece come benessere”.
In altri termini non si è più percepita la terra secondo la memoria del corpo, ma secondo il presente dei consumi. Alla bellezza dell'antichissima realtà naturale dipinta da Giorgione e Tiziano si è sostituito un paesaggio ibrido, anonimo, artificiale, sentito però come moderno.

Nel secondo testo Incidenti Barthes fotografa istantanee in Marocco.
Ritratti fulminei (“Un ragazzino dal sorriso, dagli occhi smaglianti, imperiosi, dotati di assoluta amichevolezza, manifesta nella sua gloria, al di là di qualsiasi cultura, l'essenza stessa della carità(....).
L'inizio di possibili storie (“Dal treno da cui era sceso ad una stazione deserta, lo vivi correre sullostradone, solo, sotto la pioggia, stringendo la scatola di sigari vuota che mi aveva chiesto 'per metterci i documenti' ”);
sottolineature sociologiche (“Due autostoppisti hippies. Ideologia: uno mi parla del “flusso di coscienza”. Economia: vanno a comprare a Marrakech delle camicie indiane che rivenderanno carissime in Olanda. Rito: appena accomodati in fondo alla macchina si fanno una sigaretta, si tuffano nell'assenza come a volontà, meccanicamente (da cui si risvegliano appena gli viene offerto un caffè”)) ed altre descrittive, cioè che non hanno risonanza.

Leggendo questi “incidenti” si può immaginare un romanzo fatto di immagini, dove la narrazione non vive nella concatenazione di una qualsiasi storia, ma nella qualità di queste immagini ed in un loro raccordo introspettivo.

Il terzo testo Serate di Parigi sono una trentina di pagine, scritte in una ventina di giorni dal 24 agosto al 17 settembre 1979.
E' (per intenderci) un diario sulle serate parigine di Barthes ed è il più completo e intenso dei testi qui presenti, perché rappresenta bene due cose: un personaggio ed una situazione. Il personaggio è lui, Roland Barthes, o meglio e inevitabilmente, una approssimazione: lo sguardo preciso e selettivo, la noia e la distanza, i piccoli piaceri e sopratutto la solitudine, un corpo stanco, che si percepisce non più desiderabile. La situazione è l'atmosfera parigina: i giovani e le marchette, il metro e i taxi, i pranzi e le cene, i vestiti e le donne, i caffè e il conversare, le passeggiate e le serate, la radio e i libri della notte.

Roland Barthes. Incidenti. (Incidents). Pag. 92. Traduzione di Carlo Cignetti. Einaudi