03 settembre 2009

Postilla dai "Dialoghi con Leucò" di Cesare Pavese


di Emilio Michelotti
LA CATENA DEL TEMPO SCARDINATA DALLA MORTE
Nessuno sapeva la bellezza della barbarie.
Una bellezza incomprensibile, insopportabile,
inaccettabile, scandalosa. Se non si percorre questo scandalo
fino in fondo, non si capirà granché dell’uomo.
Ciò che egli mise in essere fu un ritratto apollineo
dell’estasi dionisiaca
(Milan Kundera – Improvvisazione in omaggio a Stravinskij
da I testamenti traditi )


Dal dialogo XIV – L’ospite

Il corpo che noi laceriamo deve prima sudare, schiumare nel sole.
Quello è il momento di aprire una gola. Il sangue che Madre ci ha dato
glielo rendiamo in carne e escrementi. I brani van sparsi nei campi,
la testa va avvolta fra tralci di fiori e di spighe.
Il grano germoglia se è in terra viva, nutrita.
Perché non uccidere un’ultima volta qualcun che per sempre
fecondasse la terra e le nubi e la forza del sole?
Tu contadino non sei, e lo vedo. Nemmeno sai che ogni volta
tutto comincia al solstizio e che il giro dell’anno esaurisce ogni cosa.
Tranquillo, Litierse, risalendo ai suoi padri, nutrito qualcuno
abbastanza sarà dei succhi in stagioni passate, di sangue
così generoso, da bastare alle zolle una volta per tutte.