03 settembre 2009
"Maigret, uno di noi" di Luciano Luciani
Nella storia del romanzo poliziesco la Grande Svolta avviene a ridosso degli anni Trenta, grazie alle opere di Georges Simenon che riescono a compiere una duplice operazione: riscattare il romanzo poliziesco dalle critiche, tanto facili quanto diffuse, di imbecillità stilistica; emanciparlo dalla fama di essere una letteratura dai contenuti solo volgari e violenti. Il lascito più importante del letterato francese è stato, infatti, quello di avere ottenuto di far leggere il poliziesco anche a quel pubblico colto che si è sempre vantato di non aver mai letto una pagina di letteratura ‘di genere’ e di opere “paraletterarie”
Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) è stato uno scrittore destinato ad influenzare il romanzo poliziesco per oltre un cinquantennio e a esercitare sulla sua trasformazione un peso pari, se non maggiore, a quello di Conan Doyle e di Dashiell Hammet. Anch’egli è un “forzato della penna” come i grandi scrittori d’appendice, Balzac, Zola e, si parva licet, Maurice Leblanc e la coppia Allain /Souvestre rispettivamente inventori di Arsenio Lupin e Fantomas. Autore di non meno di cinquecento romanzi, solo settantasei dei quali appartenenti alla serie di Maigret, il letterato belga è conosciuto quasi universalmente per essere il creatore del celeberrimo commissario parigino della Prima Brigata Mobile, uno dei più noti personaggi della narrativa gialla.
Gran parte del fascino di Maigret non risiede solo nella malinconia di cui è intriso il personaggio, ma soprattutto nel suo metodo d’indagine: quel suo calarsi nell’atmosfera del delitto, quell’immedesimarsi nei pensieri e nei sentimenti della vittima e del colpevole anche quando quest’ultimo non ha ancora un’identità, fino ad appropriarsene in virtù di uno specialissimo di rapporto empatico che il commissario parigino stabilisce sempre tra lui, imperterrito cacciatore della verità, e la sua preda, l’autore del crimine.
Simenon si fa apprezzare più nel definire le ambientazioni che nello strutturare le trame. I suoi interni piccolo borghesi, le sue atmosfere familiari, i suoi bozzetti di vita urbana e rurale sempre improntati ad un tranquillo naturalismo tendono a permanere nella memoria più a lungo di tante cervellotiche architetture delittuose propriamente dette. “Io non penso mai”, dice talvolta Maigret. “Io non tiro conclusioni”. O anche “Io non ho idee”. Talvolta, la consegna del colpevole alla giustizia è del tutto secondaria e Maigret sembra quasi rassegnarsi al suo ruolo di poliziotto proprio perché non ne può fare a meno.
Dalle sue prime inchieste Pietr Le Letton, 1930, e L’affaire Saint – Fiacre, 1932, Le testament Donadieu, 1937, Maigret è rimasto immutato come la sua Parigi, anche se nel corso dei decenni si è fatto sempre più maturo e amaro: la miseria morale lo turba nel profondo come un elemento che mortifica la dignità dell’uomo. Se nel corso di oltre mezzo secolo di onesta attività investigativa si è via via diffuso l’uso del telefono, si è affermata l’automobile, la radio e la televisione hanno cambiato nel profondo la vita dell’uomo occidentale e si sono fatti sempre più sofisticati i sistemi scientifici per portare avanti le indagini, la natura umana è rimasta sempre la stessa, sfregiata dai soliti vizi: disamore, avidità, ipocrisia, prevaricazione dei più forti sui più deboli… I tempi recenti hanno aggiunto in più l’indifferenza, la mancanza di calore umano, l’assenza di qualsivoglia solidarietà, il cinismo… Ricorrenti nelle migliori pagine di Simenon i temi della solitudine esistenziale e il senso, amaro, di una suprema stanchezza di fronte al male che incombe e permea di sé ogni aspetto della vita e della condizione umana. Vano ogni tentativo di raggiungere la libertà o la redenzione
A leggere bene le pagine di Simenon appaiono forti e frequenti i suoi legami con l’hard boiled: privo di ogni carattere di “maledettismo”, più congeniale a un Sam Spade o a un Philip Marlowe, Maigret, di corporatura robusta e quasi pingue, di mezza età, è per stile di vita, convinzioni e comportamenti un piccolo borghese, un modesto funzionario parigino dell’ordine pubblico perfettamente inserito nella società del suo tempo. Dei contemporanei eroi d’oltreoceano vive, però, sia la stessa ossessione per la verità e la conseguente giustizia, sia i disincanti nei confronti della Storia e della Società. Investigatore abituato ad usare la pazienza e le gambe nelle sue investigazioni (quanto cammina Maigret per le strade di Parigi!), pragmatico e per niente cerebrale non è granché interessato agli indizi o alle deduzioni logiche: il “metodo” di Maigret parte sempre dal presupposto che “in ogni malfattore, in ogni bandito c’è un uomo”. Basta allora saper aspettare e spiare “soprattutto la fessura… il momento in cui… appare l’uomo”. Nel frattempo bisogna marcarlo quanto più possibile da vicino, imparare a conoscerne virtù e debolezze: insomma, coinvolgersi fino in fondo nella vicenda criminale, condividere il caso dall’interno, viverlo con pienezza di umanità, di ragione e sentimento sia dal punto di vista delle vittime, sia da quello dei carnefici che spesso tali non sono. Maigret infatti è persuaso che “su dieci delitti, ce ne sono almeno otto nei quali la vittima è partecipe in larga misura della responsabilità dell’assassino”: l’esperienza professionale e di vita gli ha insegnato che esiste “una sorta di vocazione di vittima”.
A detta della critica più recente e aggiornata la chiave dello straordinario successo del “canone Maigret” – settantasei romanzi e ventisette novelle in circa mezzo secolo di scrittura – consiste proprio in questa straordinaria capacità del suo Autore di disegnare ambienti riconoscibili abitati dalla piccola e piccolissima borghesia urbana, oppure le atmosfere grigie e stagnanti della provincia francese. I lettori del secolo scorso, il Novecento, hanno sempre percepito Simenon non tanto come un autore di gialli, ma come uno scrittore “serio”, capace di fare della letteratura rispettabile, lontana dalla sensazionalità di tanta produzione propria del genere. Una lettura ‘buona’ da poter esibire pubblicamente: e non è un caso se le opere di Simenon - sia il “canone Maigret”, sia gli altri suoi prodotti di una torrentizia attività di romanziere - in Italia e fuori sono sempre state ospitate in collane diverse, separate e più “alte” di quelle “basse” destinate ad ospitare il poliziesco.