09 settembre 2009
"La musica sveglia il tempo" di Daniel Barenboim
di Maddalena Ferrari
Il libro contiene il saggio che gli dà il titolo, più un'appendice con scritti su Bach, Mozart, Furtwaengler, Boulez, un ricordo dell'intellettuale palestinese Edward Said, amico e collaboratore di Barenboim, morto nel 2003, un testo dal titolo “ I have a dream” e il discorso pronunciato dall'autore alla Knesset in occasione del conferimento del Wolf Prize nel magio 2004. Le ultime pagine del volume contengono gli spartiti dei pezzi più significativi citati.
Barenboim parla di musica, nella convinzione che sia impossibile farlo, ma affermando che l'impossibile lo “ha sempre attratto più del difficile”, in quanto “tentare l'impossibile è, per definizione, un'avventura” e gli trasmette una piacevole sensazione di energia. Ma parlare di musica equivale a parlare della vita, non in termini generali, ma nei suoi addentellati con la realtà storica, politica e sociale. Proprio per questo il libro, che non si rivolge a un pubblico di specialisti, ma a tutti, è particolarmente coinvolgente: la passione per la musica si intreccia continuamente con gli ideali e le aspirazioni dell'esistenza.
Il titolo è una frase bellissima, luminosa, ripresa da una riflessione del filosofo Settembrini ne “La montagna incantata” di Thomas Mann; solo che, mentre il personaggio del romanzo, nel prosieguo del discorso, attribuisce alla musica, oltre a un significato positivo, “morale”, anche un valore negativo, collocandola nella categoria dell'ambiguità, Barenboim sposta l'accento sull'uso che se ne fa, sul modo con cui se ne fruisce: fare esperienza musicale non è ascolto passivo, non è distrarsi “sentendo” musica; è “sentire” accompagnato dal pensiero. Naturalmente questo presuppone l'educazione musicale, che a sua volta presuppone dare rilevanza, nella crescita e formazione di un individuo, alle sensazioni uditive. Il piacere, la felicità che procura la musica sono insieme emotività e intelletto; creano una libertà che è consapevolezza dei propri desideri, un pensiero liberato.
Barenboim si confronta con il pensiero sull'essenza della musica di diversi filosofi e musicisti, da Aristotele a Locke, da Wagner a Busoni, ed è nell' “Etica” di Spinoza che trova i fondamenti di una radicale libertà di pensiero, su cui basa la sua idea esistenziale ed estetica della musica. Libertà contro dogmatismi e fondamentalismi, ma anche contro le infinite opporunità che la moderna civiltà occidentale mette a disposizione dell'individuo, impossibilitato a far fronte alle proprie idee e ai propri atti. E la musica, ragione di vita, è in questa dimensione etica, oltre che estetica. Il suo linguaggio universale e metafisico esige equilibrio fra intelletto ed emozione e sempre un atteggiamento appassionato.
Esaminando la fenomenologia del suono, Barenboim pone la musica in relazione con il tempo. In primo luogo con la sua durata nel tempo. L'inizio e la fine. Ed ecco, fondamentale, il rapporto con il silenzio, che, iniziando, la musica può interrompere ( ad es. l'attacco della Patetica di Beethoven ), o da cui può svilupparsi ( come il preludio di “Tristan und Isolde” di Wagner, o l'inizio della sonata op. 109 di Beethoven, dove si ha l'impressione che la musica sia già cominciata ), oppure che, alla fine, può essere preparato dopo che si è raggiunto il massimo di intensità e volume, o avvicinato con la graduale diminuzione del suono.
In secondo luogo, la musica è messa in rapporto con il suo muoversi nel tempo e qui soprattutto si evidenziano i parallelismi con la vita, la storia, la politica. Nella musica, come nella vita, “c'è un collegamento fra velocità e sostanza”, fra tempo e contenuto; se questo collegamento è sbagliato, salta tutto. Barenboim è dell'opinione che, per es., proprio per questo rapporto sbagliato non abbia funzionato il processo di pace di Oslo.
Il grande direttore argentino-israeliano individua altre affinità fra la musica e la politica: il fatto che l'interprete di un pezzo musicale debba avere una strategia ( “una personale realizzazione fisica dello spartito”, come lui la chiama ), in cui la spontaneità e la flessibilità non equivalgano appunto a mancanza di pensiero strategico ( ma ciò si può applicare anche al lavoro del compositore ) è come l'attività del politico, che deve anch'egli ricorrere alla strategia per modificare lo stato delle cose, senza rinunciare a spontaneità e flessibilità. Inoltre, come in un 'orchestra o in un gruppo musicale ognuno deve esprimersi, ma anche ascoltare, così dovrebbe essere, e sembra banale, ma è tremendamente difficile, tra individui, popoli e nazioni.
Barenboim è un sincero democratico, che vive la musica come scuola di democrazia e di pace. E' assillato dal conflitto israeliano-palestinese. Il suo sogno, di cui parla nel libro, sono due Stati, con addirittura una capitale comune, Gerusalemme. Nel suo ideale utopico di fratellanza tra i due popoli, ha fondato con Edward Said l'orchestra West-Eastern Divan, nata nel 1999 come progetto di work-shop, con l'intento di unire musicisti provenienti da Israele, dalla Palestina e da diversi Paesi arabi. Il libro, dedicato ai musicisti di questa orchestra, racconta in gran parte questa esperienza, con le sue contraddittorie vicissitudini, come la difficile scelta di realizzare un concerto a Ramallah nel 2005.
E racconta la storia di due musicisti palestinesi, Ramzi Aburedwan e Saleem Abboud Ashkar, l'uno nato a Betlemme e cresciuto a Ramallah, in un campo profughi, e l'altro nato a Nazareth, in una famiglia che decise di non andarsene, quando, nel '48, la città diventò parte dello Stato d'Israele. A entrambi, esponenti di una minoranza oppressa, è stata negata, dice Barenboim, la continuazione di una storia propria. L'autore segue il loro percorso di avvicinamento alla musica, per cui arrivano a scoprire quella occidentale, per approdare infine alla West-Eastern Divan Orchestra. Per entrambi l'esperienza musicale è stata fondamentale, non solo, come è ovvio, dal lato strettamente individuale, culturale e sociale, ma anche per la maturazione di una coscienza politica, intesa nel senso che Barenboim attribuisce a questa espressione: la comprensione che va oltre l'interesse personale e il contingente, che è capace di ascoltare e di prefigurare il futuro.
La musica è quindi intesa come stile, ritmo e metodo di vita. E poiché essa si esprime solo attraverso il suono e si svolge in un tempo preciso, è per sua stessa natura effimera.Le registrazioni discografiche preservano artificialmente l'effimero, riproducono intuizioni avute in passato. Ma il dovere del musicista è quello di trovare in un'opera sempre nuove verità. L'uomo deve sempre rileggere le esperienze, farne tesoro, ripercorrerle. E per questo vive, è nel tempo. La musica sveglia il tempo.
Daniel Barenboim. La musica sveglia il tempo. Acura di Elena Cheah. Traduzione di Laura Noulian. Pagg. 185. Feltrinelli. Euro 15.00.