E' uno dei racconti editi da Repubblica, qualche anno fa. Lo leggo di getto in aereo. Nella copertina bellissimo disegno (non trovato in rete) di Tullio Pericoli su Tolstoj, che coglie, negli occhi determinati e profondi, quella profondità estremistica, quasi folle, e, nella barba enorme e fluente, anche il testimone, il profeta.
Il racconto inizia in questo modo:“Viveva un calzolaio, con la moglie e i figli, nella casa di un muzik: non aveva né una casa sua, né terra sua, e per campare, lui con la sua famiglia, aveva soltanto il suo lavoro di calzolaio. Il pane costava caro, il lavoro invece costava poco, e così tutto quel che guadagnava lo spendeva per mangiare”.
Inizia come una novella, che poi leggendo, più esattamente, diventa una parobola. Una parabola evangelica. Un inno all'amore. Dice infatti l'uomo-angelo nel messaggio finale che ci lascia: “Chi è nell'amore è in Dio e Dio è in lui, perché Dio è amore”
Messaggio, a pensarci bene, laico, perché la misura vera di Dio non è in Dio stesso, ma nell'amore.
Si è Dio attraverso l'amore, ma non si è Dio senza l'amore. In altri termini si può essere in Dio inconsapevolmente, semplicemente vivendo l'amore.
La parabola ha la sua bellezza e grazia per la luminosità con cui si concatena una vicenda incalzante che lascia trapelare un mistero che un po' delude nel suo sciogliersi, perché diventa ideologia, conservando tuttavia un valore pedagogico che, se raccolto nella sincerità disinteressata della sua verità, dà energia.
Tolstoj -leggo- la rielaborò sulla base di una leggenda che aveva udito da un contadino.
Lev Tolstoj. Cosa fa vivere gli uomini. Racconti di Repubblica 4.