Un uomo esce dal carcere , ci ha passato gli ultimi diciotto anni. Fuori lo aspetta in un bar una persona che non conosce affatto, sua figlia. Aveva lasciato la madre incinta, e non l'aveva mai più vista. Lei gli chiede di accompagnarla in un lungo viaggio verso Maratea, su una scassata Panda a gas. Due estranei , con una vita piena di non detti, lui la segue perché forse non ha altro da fare, perché é curioso, non si sanno mai tutti i perché. Lungo il viaggio si raccontano qualcosa, si annusano, litigano, comprano camicie più decenti, cercano pezzi di passato, incontrano la desolazione di un' Italia indifferente e sfregiata.
Era difficile scrivere questa storia senza scivolate nel patetico o negli stereotipi del duro che si scioglie. Ferrario ci riesce- e bene- perché ha distillato un'esperienza decennale di lavoro nelle carceri. che ha raccontato anche nel film " Tutta colpa di Giulia".
Benchè Ferrario abbia un interesse profondo per la marginalità, sarebbe assai riduttivo etichettarlo come artista impegnato. La storia, raccontata con un linguaggio asciutto, molto visivo, scava nei due viaggiatori in profondo : c'è la malattia di lei, c'è il passato e l'incerto presente, c' è una ricerca della dignità . A volte l'irruzione di un linguaggio lirico segna l'affacciarsi dell'autore nella storia, e questo mi piace meno. Ma , come nei buoni film, Ulisse Bernardini rapinatore e sua figlia continuano il loro viaggio dentro chi legge anche dopo che il libro l'hai finito.
Davide Ferrario. Sangue mio. Feltrinelli 2010 , euro 16