"Le nu provençal" di Willy Ronis
di Davide Pugnana
Si sa: la prima regola per una
corretta lettura del 'testo' fotografico è la scelta di un lessico critico che
rifugga dalla terminologia propria della pittura. Provenienti da processi
creativi opposti, lingua della pittura e lingua della fotografia rischiano di
darsi battaglia dentro lo spazio di un comune telaio lessicale.
Ma è pur vero
che non esiste 'scatto' che non (s)muova depositi inconsci di immagini della
tradizione figurativa: la forma e la luce di una mela fissata dall'obiettivo
recherà in sé fatalmente la cifra di Caravaggio e di Cézanne, al di là del
giorno e dell'ora. Il nudo di donna al bagno di Ronis è esemplare del dialogo
fecondo tra pittura e fotografia.
Lo vediamo d'acchito, spingendo l'occhio
nella fessura voyeuristica nella quale l'autore ci costringe: quel taglio
prospettico obliquo, risolto nello scorcio della sedia che fa d'abbrivio al
racconto e costruisce la spazialità di una bolla intima.
Ma l'immagine non si
apre solo allo spazio; la fotografia è arte del tempo, come la pittura. La sua
fissità è sostanza apparente. Il suo tempo è il disporsi muto degli oggetti e
del gesto ben oltre l'attimalità della cronaca quotidiana.
Nel disporre la
composizione, Ronis trova continuità temporale nella diagonalità sedia-brocca
che riecheggiano a distanza per evocare la profondità. E il tempo è anche la
narrazione della luce e dell'ombra. Impariamo tutto da quell'effondersi
pulviscolare di una luce di calce e miele, implacabile e lenticolare nel dire
le rugosità striate del legno; il mortaio dimenticato nell'angolo; le
piastrelle irregolari; il residuo d'ombra umana, in corsa oltre il campo
visivo; fino al catino incandescente e pericolosamente in bilico.
Così non
rimangono inespresse alcune finezze prossime all'astrazione, quali: l'eco
replicata, dal basso verso l'alto, delle geometrie circolari del tappetto e
dello specchio, passando per i dischi della struttura in ferro, quasi metafore
del tempo immobile e pausato della stanza; e al centro la posa, l'accademica
posa neoclassica da Venere al bagno che Ronis sottrae alla tentazione del
ritratto per farle riassume in sé tutte e donne.
E' qui lo schiaffo della luce
sui capelli, sulle spalle e le scapole gracili, lasciato come una frusta a
precipizio nel conteggio arcuato delle vertebre e delle costole in penombra,
fino alle piante dei piedi, classicamente disposte secondo il contrapposto di
una gamba in tensione e l'altra lasciata flessa e libera.
Tutti questi
elementi, fusi in uno scatto vertiginoso, rendono la foto di Willy Ronis la più
'degasiana' del Novecento. Non una citazione o un omaggio fotografico al
pittore francese; ma un'assimilazione profonda della sua visione pittorica
nella logica formale di costruzione dell'immagine fotografica.
Ronis supera
così l'immediatezza e la casualità del 'clic' fotografico recuperando la
causalità intenzionale del classicismo di matrice degasiana, quello del
sincretismo spazio-luce-figura.
Willy Ronis. Le nu provençal. 1949
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