Il mio cuore
potrei gettarlo tra le pietre incatramate
che bloccano la rotaia.
Potrei affogarlo in un bicchiere di gazzosa,
o spappolarlo contro
una giornata di sole.
Purché si muova purché
torni a mostrare il suo essere rosso
per elezione
e non continui a mandare sorrisi
cortesemente a chi siede di fronte.
Katia
Sebastiani
“Il mio cuore”. Leggiamola.
E' una poesia contro.
Contro la cortesia, la
convenzionalità, la maschera, la maschera del quotidiano.
E' una poesia per.
Per la passione, per il
cuore, per il rosso del cuore, per la verità.
Soggetto: il cuore di
Katia Sebastiani.
Ed è contro il suo cuore,
contro la sua piattezza, il suo grigiore che scatta una furiosa invettiva.
La prima strofa ha la
forza di contenuti che si fanno forma nel martellìo di quel “potrei” e nella
sonorità di quei verbi sempre più violenti (“ gettarlo”, “affogarlo”,
“spappolarlo”), nella originalità delle metafore tra cui splendida “spappolarlo
contro/ una giornata di sole” per quel contrasto tra la ferocia e la
luminosità.
C'è, infine, in tutta la
strofa, un movimento anche cinematografico, che dal basso (dettaglio delle
pietre incatramate) si apre in una panoramica fino a farsi vastità e luce
(“giornata di sole”).
E' soltanto nella seconda
strofa che comprendiamo le ragioni di questo furioso misterioso dolore: mandare
sorrisi cortesemente a chi siede di fronte.
Nella loro apparente
banalità questi versi disvelano, soprattutto attraverso quel felicissimo
avverbio “cortesemente”, una delle angosce, in cui, spesso inconsapevolmente,
ci dibattiamo in una società altamente tecnologizzata: essere ridotti (e
accettare di essere ridotti) a pura forma, ad apparenza.
Con una sottolineatura:
non sono versi che semplicemente spiegano; sono versi che nascono da quel
furore e lo completano con lo stesso incedere anaforico ( “Purché si muova
purché/ torni) con cui la poesia era iniziata.
Questo testo fa parte di una serie di poesie che sono state raccolte in un libro stampato in
pochissime copie, "Convivenze", ognuna di queste accompagnate dagli
scatti in polaroid del fotografo Samuele Bianchi.
di Davide Pugnana
Bellissima e acuta analisi Gianni e brava Katia, soprattutto nell'aver saputo trasformare in ritmo il furore 'civile': quel particolarissimo sdegno etico dei poeti che sa dettare alla mente e alle coscienze, prima che al cuore e allo stomaco. E Katia (che è poetessa senza mezze misure, malgrado tutto e nonostante tutto, come Laura Pantani e tutte le altre poetesse del Novecento capaci di farsi carico di una cifra di dolore nella carne) riesce in questa compiutezza di poesia e Storia, di misura umana e di vox populi; in particolare nella seconda strofa, che, a mio parere, può anche vivere in perfetto isolamento: un unico, autonomo movimento, senza primo e secondo tempo; senza l'incipit neorealista e sironiano, né l'affondo espressionista del cuore spappolato, strafa bella di metafore graffianti ma, rispetto a ciò che segue, di più spiccata 'letterarietà'. Credo basti leggere il titolo e tuffarsi nella musica della seconda strofa, scivolare lungo la catena seghettata delle spezzature - gli enjambements "purché/ torni", "sorrisi/cortesemente" - e allora che potenza acquista!
Katia Sebastiani è nata a Camaiore e vive oggi Boveglio. Ha lavorato presso l'Ufficio Stampa del Comune di Capannori fino a tutto il 2007 ed attualmente si occupa di comunicazione per il Comune di Pistoia. Suoi testi sono apparsi sulla rivista on line "Sagarana", sull'antologia Subway e sul libro “Parole nel palazzo” per Capannori Trentanni. Nel 2008 ha pubblicato “Sagra di addio”. LietoColle. Euro 10,00.
Ma come sempre sono le sue stesse parole che meglio la
definiscono-non definendola. “Se qualcuno chiedesse/con gentilezza chi sono/ora
e come sto,/lo porterei davanti alla finestra/quella bianca/che dà sul
cortile/e gli direi guarda/la pazienza della federa/ fiorita ad asciugare(...).
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