12.10. Sono
incerto. Per partire ho bisogno di motivarmi: di lavorare sull’immaginazione.
Avvio la macchina. Sul viottolo peri disadorni e buche di acqua sporca.
12.20 Nuvole
bianche e nere attorcigliate lassù alle Pizzorne. A quest’ora la domenica c’è per strada un’aria sonnolenta che mi piace molto: poche macchine, niente
camion. Di colpo esce la luce e si diffonde intorno. Sensazione velocissima
d’un miracolo!
foto gianni quilici |
12.30 Diecimo. Mi
colpisce sempre, prendendo la strada per Pescaglia, la bellezza marmorea del
campanile merlato, isolato dal paese, che si staglia alto (36 metri), contro i colori
della montagna, vagamente malinconici, di un marroncino grigiognolo. A vederlo
da vicino il campanile ha la bellezza, anche, dei dettagli: le bifore, le
trifore, le quadrifore, le cornici marcapiano nell’insieme d’un prato verde e
d’una bella casa abbandonata. La facciata della pieve romanica di Santa Maria
Assunta della fine del XII-XIII secolo è disegnata con un’armonia e semplicità
esemplari. Peccato che non ci sia una vera piazza, che dia unitarietà e
socialità!
Il paese è
deludente. Una strada stretta e asfaltata, che lo percorre in tutta la sua
lunghezza con parcheggi-macchine, che si susseguono quasi ininterrottamente.
C’è soltanto nel centro, affogata, la torre di Castruccio (neppure segnalata)
in una piazzetta con qualche panchina.
foto gianni quilici |
Ore 13. Celle
Puccini ( 371 metri,
45 abitanti). La strada sale stretta con bei tornanti. Uno spiazzo della
strada l’unico parcheggio. Poggi di olivi
e di viti e poi inizia la viuzza di sassi stretta tra case e qualche bel
palazzo che arriva alla casa della famiglia di Giacomo Puccini (oggi museo). Mi
piace immaginare Puccini che viene quassù, tra contadini e pastori, artista di
fama e borghese di classe… Sul museo, chiuso, una lapide. Leggo: “A ricordare
che in questa casa retaggio dei suoi padri frequentemente dimorò Giacomo
Puccini celebrato artefice di musica immortale il comune fascista di Pescaglia
per desiderio del popolo decretò e pose. XXVI ottobre MCMXXIV “. Vuota retorica
populista dietro cui si cela violenza e ignoranza.
Qui il paese
finisce, iniziano i campi. Mi si affianca un uomo di mezza età, capelli
brizzolati, pullover celeste. “Se vuole” mi dice “c’è un viottolo che porta ad
uno spiazzo qui vicino, da cui si vedono la vallata e i paesi vicini”. Vado. A una
prima vista niente di esaltante, però individuare dei paesi da lontano dà il
piacere di una ricognizione geografica. Si parla del paese. “Si figuri” mi dice “c’era
addirittura l’idea di fare una specie di anfiteatro davanti al museo di
Puccini, abbattendo il muro di fronte. Se ne parlava tempo fa, ora sembra
ritornata in auge. Ora, a parte che mancano i soldi, ma poi che senso avrebbe
abbattere quei muri, che hanno una storia. Per fare cosa? Un anfiteatro!”
foto gianni quilici |
Ore 14.10 Gello (481 metri, 132 abitanti)
è poco più avanti. Da lontano si vede il
campanile alto e svettante, parente povero di quello di Diecimo: merlato e con
bifore, ma senza la stessa lucentezza e ricchezza. Una strada asfaltata con platani nudi, un
ruscello che scende vertiginosamente scrosciando verso la valle. All’ingresso del paese, la strada si fa più stretta e sassosa.
Qualche bel palazzo, qualche scalinata che sale, panni bianchi e arancioni
stesi alla luce del vento, un ragazzo che ci saluta, un gatto che ti studia allarmato
pronto a scappare.
Ore 14.50 La
strada scende tortuosa verso la valle della Pedogna. Cerco una sintesi, mentre guido veloce. Penso
che per capire, anche semplicemente paesi piccoli come quelli, bisogna viverci.
Posso dire soltanto che ho visto pochissima gente. Faccio il conto: 3 a Diecimo, 6 a Celle, 2 a Gello... a parte qualcuno in
macchina.
1 commento:
appunti direi banali...Se, comunque, emozionano qualcun'altro... Ben vengano...C'è penuria di sobbalzi dell'anima.
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