18 marzo 2010
"Il paese che non c’è più" mostra di Angelo Fruzzetti
di Luciano Luciani
Una mostra di quadri naif! Sì, questo Il paese che non c’è più dell’ultrasemicentenario Angelo Fruzzetti fa proprio venire in mente un’esposizione di tavole, venti deliziose tavole, di quegli artisti autodidatti, quei pittori dell’istinto che ebbero il loro momento di gloria – e di moda – all’incirca trent’anni fa, aggirandosi tra arte popolare, folclore, vagheggiamento dell’infanzia e aspirazione a una cultura figurativa alternativa.
Un po’ lo stesso spirito che anima le pagine che seguono, attraverso le quali l’Autore, rivisitando gli anni della sua infanzia, rende anche un sentito, affettuoso omaggio al suo luogo natio, Castiglioncello di Balbano, per i paesani più familiarmente Castiglione, frazione del Comune di Lucca. Anzi, sua propaggine estrema, incuneato com’è tra i territori di Viareggio e Pisa, piccolo castello, come suggerisce il nome, posto a difendere un confine ancora oggi intriso della memoria di antiche lotte comunali.
Un frammento della Toscana di appena ieri dove l’Autore nacque, crebbe ed ebbe il suo imprinting: quando l’Italia era giovane e “povera, ma bella”, per chi c’era soprattutto povera.
L’Autore descrive il suo paese, riuscendo, a mezzo secolo di distanza, a riguardarlo ancora con gli occhi ingenui, curiosi e capaci dello stupore del bambino che è stato. Certo, “la carità feroce del ricordo” tende sempre ad arrotondare gli spigoli, né rari né poco puntuti, di quegli anni e a ricomporre i bordi lacerati di un’ allora difficile condizione materiale di vita: però, il racconto sincero di Fruzzetti sul “come eravamo” davvero, non può tacere della fatica di lavori durissimi e per di più incerti e precari; dell’isolamento del paese; del freddo invernale; dello strapotere della ideologia religiosa cattolica che si trasformava sovente in superstiziosa ritualità; dell’emigrazione all’estero di tanti figli di Castiglione alla ricerca di un’esistenza più degna; della mancanza di cultura e delle difficoltà di accedere all’istruzione e alla scuola…
Uno stato di cose appena sopportabile perché comune se non a tutti certo a tanti, e temperato da una, forse perduta per sempre, solidarietà tra persone, famiglie, generazioni: decisiva, nei momenti difficili del dolore, della guerra, della catastrofe naturale, quando una generalizzata, seppur decorosa, povertà rischiava di scivolare nella miseria.
Di Castiglioncello di Balbano, in bilico tra i rudi anni Cinquanta e gli imminenti, formidabili Sessanta, con garbo e misura, Angelo Fuzzetti ci racconta tutto questo e molto altro ancora, intingendo la sua penna di affabulatore paesano nell’inchiostro contenuto nel calamaio del cuore: per esempio, con ironica partecipazione descrive i modi delle strategie del corteggiamento adolescente; la comparsa della televisione; l’orgoglio di riuscire a schierare comunque una squadra paesana che poi sarebbe riuscita anche a farsi onore sui campi e campetti di calcio della provincia…
Un mondo piccolo, addirittura minimo ma, proprio per questo, capace di offrire all’Autore i materiali necessari a sbalzare alcune figurine degne della lunga tradizione letteraria del bozzetto toscano. Donne e uomini di un tempo che ci appare lontano, quasi velato alla vista dall’opacità degli anni trascorsi, ma che, a pensarci bene, è appena il nostro ieri: quando nei prunai dietro le ultime case del paese ci si poteva ancora perdere; esistevano ancora i ciabattini col deschetto che esercitavano la loro attività sulla porta di casa e per ammazzare il maiale, lungo le strade del paese e sotto gli occhi di tutti, grandi e piccini, arrivava da fuori nientemeno che un famoso norcino con una borsa così piena di strumenti di lavoro da assomigliare a quella di un famoso chirurgo…
Quando tornando a casa da scuola, la sera, a buio, si cantava a voce spiegata per farsi compagnia e scongiurare la paura.