18 marzo 2010
“Lettere alla fidanzata” di Fernando Pessoa
di Gianni Quilici
“Tutte le lettere d'amore sono
ridicole
Non sarebbero lettere d'amore se non fossero
ridicole”
Così scriveva Fernando Pessoa in una (famosa) poesia. E leggendo le “Lettere alla fidanzata” si potrebbe affermare che anche qui si coglie una delle caratteristiche profonde dell'autore stesso insieme ad una (relativa) novità.
La caratteristica nel suo essere spietatamente autocritico, esserlo al punto da vivere isolato (o quasi), agendo e vedendosi agire, sdoppiandosi, dandosi più identità, qui quella di Alvaro Do Campos.
La novità in queste Lettere è che in esse si coglie la forza del desiderio, un desiderio più forte del controllo che Pessoa continuamente operava su se stesso.
Siamo nella Lisbona degli anni '20, in una società chiusa e bigotta, in cui i rapporti tra i sessi sono difficili, perché rispondono a convenzioni di onore e di rispettabilità, borghesi, repressive. Pessoa incontra Ophélia Queiroz nell'ufficio in cui egli stesso lavorava. “Risposi ad un annuncio del Diario de Notìcias. Avevo diciannove anni, ero allegra, sveglia, indipendente e, contro la volontà dei miei familiari, decisi di trovare un impiego”.
Ophélia è carina ed ha un carattere sensibile e appassionato. Pessoa ne è subito attirato e, almeno dalle lettere, si intravede un rapporto erotico-paterno-protettivo. “Mio Bebé piccolino, mia Ninhina” “Cara piccola” “ a domani boccuccia dolce” “cicini cicini cicini”. Sono alcune espressioni che evidenziano una certa sicurezza di sé, un abbandono, che sono in antitesi (o quasi) alla filosofia dell'essere di Pessoa.
E tutto il rapporto si gioca su un incontrarsi segreto, quando l'accompagna sul treno o sul tram, o semplicemente la vede alla finestra di casa o le scrive lettere veloci ed affettuose, “ridicole” , appunto, come Pessoa acutamente osserverà. (“Anch'io ho scritto ai miei tempi lettere d'amore, come le altre/ ridicole”). Non c'è traccia di rapporti sessuali nelle lettere; ci sono baci. Soprattutto desideri di baci.
Ambedue sono liberi da legami, ma P. mai propone un legame ufficiale alla ragazza; al contrario, dopo pochi mesi le invia una lettera in cui chiude ogni rapporto con lei. “Il mio destino” scrive “appartiene ad altra Legge, della cui esistenza lei è all'oscuro, ed è subordinato sempre più all'obbedienza a Maestri che non permettono e non perdonano”.
Dopo nove anni ci sarà un riavvicinamento, ma durerà poco. Soprattutto in questa ultima fase le condizioni psicologiche di P. sono peggiorate: da una parte “si è rotta la molla della mia vecchia automobilina che ho dentro la testa ed il mio senno che già era inesistente, ha fatto tr-tr-r-r- r...” è così alterato che folleggia, gioca con le parole e i sensi, si sente nulla, si disprezza; dall'altra scrive: “Del resto la mia vita gira intorno alla mia opera letteraria -buona o scadente che essa sia o che possa essere. Tutto il resto della mia vita ha per me un interesse secondario...”
Osserva Antonio Tabucchi (1) che anche questo amore fu un pensiero, così come anche la vera vita di Pessoa sembra un pensiero, cioè un testo. Eppure in queste Lettere si intravede in Pessoa anche una storia: un prologo (il primo incontro), uno svolgimento (gli incontri e la ricerca di essi) e la conclusione (la fine di questo amore). Una relazione, insomma, a cui Pessoa, malgrado tutto, ha prestato corpo e sentimenti.
Quale migliore prova che questo passo della lettera (la n. 45) del 9 ottobre 1929 :
“...e vorrei baciarla sulla bocca, con passione e ghiottoneria e mangiare i bacini che vi sono nascosti, e poggiarmi sulle sue spalle e arrivare alla tenerezza dei colombi, e chiederle scusa, ma scusa per finzione, e ricominciare molte volte, e punto daccapo per poi ricominciare...”
Desiderio, tenerezza, gioco... Corpo e anima...
Fernando Pessoa. Lettere alla fidanzata (Cartas de Amor de Fernando Pessoa) con una testomonianza di Ophélia Queiroz. A cura di Antonio Tabucchi. Adelphi Edizioni.
(1) "Un Faust in Gabardine" post-fazione di Antonio Tabucchi