di Mirta Vignatti
Mi sono avvicinata a questo capolavoro dello scrittore
spagnolo Marìas con colpevole ritardo e ne sono rimasta talmente affascinata
che mi propongo ora di leggere tutto il resto della sua produzione letteraria.
E' tra l'altro di questi giorni la notizia che l'autore ha rifiutato il “Premio
Nacional de Narrativa” (20.000 euro) assegnatogli in Spagna per “Gli
innamoramenti”, la sua ultima fatica letteraria: Marìas dichiara di non
accettare il premio per divergenze con la politica culturale del governo
spagnolo e considerando la situazione generale del suo paese che non consente
certo sperperi di denaro pubblico. Un personaggio, dunque, di forte dirittura
morale e di inattaccabile coerenza: tipologia non proprio diffusissima di
questi tempi; mi fa pensare a Sartre che (con altre motivazioni) rifiutò il
Nobel nel '64.
So bene che molti, tra coloro che hanno letto “Domani nella
battaglia pensa a me”, hanno parlato di difficile leggibilità della scrittura
dell'autore, di tempi lunghi e lenti della narrazione, di non linearità della
trama. In realtà, pur riconoscendo che uno scrittore come Javier Marìas non può
certo essere considerato “popolare” né che il suo libro sia di “facile” lettura
(ma questi nel mondo delle lettere non sono comunque degli obblighi)- credo sia
il caso di stabilire dei punti fermi, che possano aiutarci a inquadrare bene il
romanzo prima di iniziarne la disamina.
Il primo: fin dall'inizio di “Domani
nella battaglia pensa a me” si capisce che la scrittura di Marìas è di quel
tipo particolare che definirei “filosofico”; figlio egli stesso di un
apprezzato filosofo e quindi formatosi in un contesto probabilmente
facilitante, l'autore sviluppa il romanzo partendo da nuclei di concetti di
tempo, del qui e dell'altrove mentale, di estraniamento, di identità, di senso
di colpa. Trasporre tanta materia filosofico-esistenziale sul piano narrativo
non credo sia cosa semplice ed automatica: l'autore sceglie dunque -e non
poteva che essere così- di narrare per flusso di coscienza, con continue
espansioni geometriche di pensieri e sovrapposizioni di pensieri laterali,
aiutato in questo da personaggi che si interrogano di continuo su se stessi e
che si lasciano vivere trascinati dal flusso casuale degli avvenimenti.
Secondo
punto: con il suo personaggio Victor Francés, Marìas crea deliberatamente un
“antieroe”, un “uomo senza qualità” che -con tutte le sue autoanalisi e i suoi
dubbi esistenziali- nobilita uno spunto narrativo che magari avrebbe potuto
risolversi in “feuilleton” (l'avventura di una notte con la donna che muore
prima che l'adulterio sia consumato), e si trasforma invece in letteratura alta
o -come usano definirla con termine tecnico gli amanti dei forestierismi- in
“mainstream”. Essere riusciti a creare da un punto di partenza e da una
situazione tutto sommato triviale un contesto di stimoli mentali in continua
espansione e in illuminazioni filosofiche (“fermandosi, rimanendo immobili, le
cose non accadono” oppure “inventare altre realtà e non perdersi tra l'una e
l'altra, non cadere in contraddizione”- per non fare che degli esempi) è quello
che dà grandezza al libro.
E poi c'è la grandezza, direi la grandiosità del
personaggio nel suo essere anche meschino. Victor Francés è personaggio che
nasce dagli stessi lombi che hanno generato Zeno che mette a nudo la propria
coscienza, o Leopold Bloom che in quella particolare giornata ragiona sui
tradimenti della moglie o sul come tradirla, o -più tardi- quell'uomo
pirandelliano che a seconda di come si guarda è uno nessuno e centomila, senza
dimenticare l'Ulrich di Musil, che più che agire vive del e nel suo pensiero.
Voglio dire che certa letteratura del XX secolo -quella alta- non può che
muoversi in precisi alvei scavati da quelli che sono stati definiti “stati
alterati di coscienza” dell'uomo moderno o -direi meglio- da una nuova
coscienza critica, analitica e problematica: dobbiamo infatti sempre tenere a
mente che il '900 è iniziato con la pubblicazione di due pietre miliari che
hanno segnato un discrimine, un prima e un dopo nella storia della nostra
civiltà e della nostra cultura: “L'interpretazione dei sogni” di S. Freud e “Il
corso di linguistica generale” di F. de Saussure. Come dire la messa a nudo
della grammatica e della sintassi del nostro inconscio e lo svelamento della
struttura e dei meccanismi del nostro linguaggio. Ma Victor Francés è stato
pensato da Marìas sul finire del XX secolo, e dunque -oltre a ciò che lo
accomuna ai suoi illustri predecessori- raccoglie in sé tutte le crisi e le
evoluzioni del secolo, ne è pervaso, e in particolare -non poteva essere
altrimenti- è figlio del post-modernismo come anche (magari lo metterò in
evidenza più avanti) della globalizzazione. Di qui lo sviluppo labirintico
della trama, la complessità, il citazionismo, l'intertestualità, il punto di
vista soggettivo che s'interroga -come fa sempre il personaggio di Marìas-
sugli stati interni della propria coscienza. La realtà descritta nel romanzo
non è certo lineare e determinata da meccanismi di causa-effetto; al contrario
ostenta un grado medio-alto di illogicità e affonda le sue radici nell'incerto
e nel multisemico. Nella brodaglia riscaldata che è la vita, tutto sembra
determinato dalle casualità alle quali siamo condannati a soccombere. In “Domani
nella battaglia pensa a me” Victor Francés è stato voluto da Marìas con tutte
le peculiarità dell'antieroe: si nasconde nelle pieghe della realtà, si
nasconde da se stesso (fa il ghost writer, collabora a sceneggiature ma non le
firma, scrive discorsi per un uomo politico), si interroga sulle casualità
senza trovare risposte: gli è sufficiente vivere di dubbi e di incertezze,
anzi, dubbi e incertezze gli riempiono la vita dandole un senso. Che
l'ispirazione di Marìas nel concepire il suo libro e nel creare il suo grande
personaggio sia stata una di quelle che contano e che i suoi esiti rimarranno
nella storia della letteratura, lo dimostra il fatto che (non a caso siamo in
pieno post-modernismo) il suo è un libro ricco di spunti che ritroviamo riflessi
e sviluppati in tanta cinematografia d'autore dei tardi anni '90, in particolare di
Almodòvar (il topos degli incidenti mortali sotto la pioggia torrenziale
presente in vari suoi film), e (penso in questo caso al personaggio che entra
nottetempo nella casa della ex-moglie osservando, muovendo alcuni oggetti e
spiando) del sud-coreano Kim Ki-duk (“Ferro 3- La casa vuota”). Certo, può
darsi che Kim Ki-duk non abbia letto a suo tempo il libro di Marìas: difficile
se non impossibile. Ma le più illuminanti affinità non sono forse quelle che si
realizzano tra autori che non si conoscono nemmeno di nome?
Lo spessore narrativo del libro si arricchisce con l'entrata
in scena del deuteragonista Déan, lasciato sapientemente in absentia da Marìas
per farlo irrompere solo sul finale con tutte le sue contraddizioni,
aggressività e sensi di colpa: un personaggio esattamente speculare al
protagonista, che serve all'autore anche per mettere a fuoco tutte le sfumature
della personalità di Victor e per alzare il livello di drammaticità del
romanzo. Siamo ormai all'ultimo atto di una “tragedia ridicola” che si svolge
sul palcoscenico della vita: è in questa fase che “tout se tient” e che
acquisisce significato la citazione shakespeariana del titolo. Marta, la moglie
di Déan, ha tentato di tradire fermata soltanto dalla morte; ma a sua volta era
stata ripetutamente tradita da Déan e proprio nel momento della sua morte la
tragedia colpisce il marito: la sua amante avrà lo stesso destino di Marta,
forse contemporaneamente. Nel campo di battaglia che è la vita non ci sono né
vincitori né vinti. Le menzogne non pagano e la condanna è fare continuamente i
conti con la propria coscienza.
In prima di copertina di “Domani nella battaglia pensa a me”
c'è un “urlo” di Pietro Citati che recita: “Forse il libro più bello composto
da uno scrittore contemporaneo”. Non credo sia un'esagerazione.
Javier Marìas, “Domani nella battaglia pensa a me”, Einaudi
2000.
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