A mezzo millennio dalla morte
Nascita, giovinezza e prime
esperienze
Terzo figlio di ser Anastasio o Nastagio Vespucci, notaro, e di Elisabetta o Lisa Nini, Amerigo, nacque a Firenze il 9 marzo 1454. Nobile, di un patriziato in parte decaduto, la famiglia, era però ricca di possedimenti nella zona di Peretola, a sei chilometri dalla città di Dante e Boccaccio. Il cognome, Vespucci derivava dai nomi dei primi membri della casata: Vespuccia, Vespinello, Vespino, mentre lo stemma gentilizio è organizzato secondo “una banda blu caricata di vespe in campo rosso”. Una schiatta importante a Firenze: cugino di Amerigo era quel Marco Vespucci che nel 1569 sposò Simonetta Cattaneo, la donna più bella del suo tempo, che, oltre a ispirare pittori come Piero di Cosimo e il Botticelli e poeti come il Poliziano, fece innamorare di sé nientemeno che Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo, uno degli uomini più potenti d’Europa. Piero, suo figlio, ebbe per compagno di giochi proprio Amerigo che nell’adolescenza, coltivò con amore e profitto gli studia humanitatis: la Grammatica, la Geometria, e soprattutto la Cosmografia che lo prepararono a un avventuroso destino di viaggi.
Nel
1478, l’anno della funesta “congiura de’ Pazzi”, che vide la morte di Giuliano
e una feroce repressione che causò non pochi lutti a Firenze, Amerigo è in
Francia con lo zio Guido Antonio, probabilmente al servizio della grande casa
commerciale di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, che cominciava ad avere
importanti interessi anche in Spagna. Così, mentre il fratello Gerolamo tentava
la fortuna commerciale in Palestina e perdeva sino all’ultimo fiorino, nel 1491
Amerigo si trovava a Cadice, il porto spagnolo sull’Atlantico, impegnato,
insieme agli altri agenti medicei, a rifornire le navi che andavano e venivano
dal Nuovo Mondo. Quattro anni più tardi, morto a Siviglia Giannotto Berardi o Juanoto
Berard, un ricchissimo mercante fiorentino del quale, forse, il Vespucci era
socio e con cui condivideva un “banco”, che gestiva i cantieri reali delle
caravelle oceaniche, gli venne affidato il delicato incarico di sistemare
alcuni interessi rimasti in sospeso fra il defunto e il governo spagnolo. Fu
così abile, Amerigo, nel risolvere quel contenzioso che il governo spagnolo gli
affidò la direzione della Compagnia delle Indie, ristrutturata in Casa de Contractation, istituzione
preposta al controllo e alla tassazione di tutte le traversate oceaniche. Intanto
le nuove scoperte di Colombo e la febbre di navigare alle terre del nuovo
mondo, che tutti pervadeva in quei giorni, dovettero risvegliare anche
nell’animo ardimentoso del Vespucci il desiderio di cercare nelle navigazioni
lontane la gloria e la fortuna che sino allora non gli erano state troppo
amiche.
I due primi viaggi
Qui
si presenta l’importante e discussa questione dell’epoca dei due primi viaggi
intrapresi dal Vespucci al servizio della Spagna, un problema, che pur essendo
stato lungamente dibattuto dagli storici, non può dirsi ancora definitivamente
chiarito. Senza entrare nella lunga polemica e nell’esame delle argomentazioni
sostenute dai difensori e dagli avversari della veridicità delle relazioni del
Vespucci, basterà accennare che per il fiorentino e i suoi difensori il tempo
del primo viaggio dovrebbe riportarsi all’anno 1497. Altri, invece, considerano
errate e false queste date e sostengono che il Vespucci accompagnò Alonso de
Ojeda nel viaggio da questi compiuto negli anni 1499 e 1500. Un brano della Lettera al Soderini bene esprime le
ragioni della novità intervenuta nella sua esistenza. “Vostra Magnificenza
saprà come el motivo della venuta mia in questo regno di Spagna fu per trattare
mercatantie, e come seguissi in questo proposito circa quattro anni, ne’ quali
viddi e conobbi e’ di svariati movimenti della fortuna, e come promutava questi
beni caduci e transitorii, e come un tempo tiene a l’uomo nella sommità della
ruota et altro tempo lo ributta da sé e lo priva de’ beni che si possono dire
imprestati; di modo che, conosciuto el continuo travaglio che l’uomo pone in
conquerirgli con sottomettersi a tanti disagi e pericoli, deliberai lasciarmi
dalla mercantia e porre el mio fine in cosa più laudabile e ferma: che fu che
mi disposi d’andare a vedere parte del mondo e le sue meraviglie…”
In
base al suo racconto, egli navigò fino a una costa che dalle indicazioni
parrebbe il golfo dell’ Honduras; di là sarebbe risalito verso il nord, e,
costeggiando lo Yucatan, Vera Cruz e Tampico e girando attorno alla Florida
sarebbe giunto fino all’odierna baia di Chesapeake tra il Maryland e la
Virginia
Nel
secondo viaggio, cui Vespucci assegna gli anni 1499 e 1500, pervenne a quella
parte del Brasile che giace all’ovest della provincia del Rio Grande do Norte.
Le correnti equatoriali impedirono alle navi di superare il Capo San Rocco per
cui furono costrette a invertire la rotta e a costeggiare verso nord-est, giungendo all’odierno
porto di Caienna.
Vespucci
visitò l’isola Margherita e quella dei Giganti, scoprì il golfo di Maracaibo e
le spiagge vicine: il cattivo stato delle imbarcazioni consigliò il ritorno a Cadice,
avvenuto nel settembre 1500.
Il terzo e quarto viaggio
Al
ritorno dal secondo viaggio gli fu offerto di mettersi al servizio della corona
portoghese e, a questo scopo, il re Emanuele d’Aviz, detto il Fortunato, mandò a Siviglia il fiorentino Giuliano Bartolomeo
del Giocondo. Vespucci accondiscese a quell’invito e nel 1501 partì con una
spedizione di tre caravelle poste, a quanto pare, sotto il comando di Gonzalo
Coelho.
In
questo terzo viaggio, dopo aver toccato alcuni punti della costa occidentale
dell’Africa meridionale, pervenne al Capo San Rocco; di lì proseguì esplorando
le terre ad ovest della linea del trattato di Tordesillas. Fu probabilmente
allora che vennero scoperti e battezzati il Capo San Thomé, Rio de Janeiro,
Angra dos Reis, ecc. Le navi, per consiglio di Vespucci, si allontanarono poi
dalla costa, e avanzando in direzione sud-est giunsero alla latitudine di 52°;
qui, furono assalite da una terribile tempesta, al termine della quale si
presentarono loro innanzi le spiagge di una nuova terra, che costeggiarono per venti
leghe e che parve loro selvaggia e disabitata. Questa massa che emergeva dalle
acque, avvistata dal Vespucci, sarebbe stata, secondo alcuni, la Georgia
Australe, che nel 1775 Cook reputò di aver scoperta per primo.
Tra
il 1503 e il 1504, Vespucci prese parte a un altro viaggio al servizio dei
portoghesi che raggiunse ancora una volta le coste del Brasile e individuò
l’isola di Fernando de Noronha.
Gli ultimi anni. Fortuna e sfortuna.
Nuove
promesse del governo di Spagna allontanarono il Vespucci dal Portogallo e al
principio del 1505 egli era nuovamente a servizio di Ferdinando il Cattolico. In
quello stesso anno gli viene concessa la cittadinanza spagnola e tre anni più
tardi l’importante incarico di Pilota
Mayor, che conservò sino alla sua morte avvenuta il 22 febbraio del 1512
nel silenzio dell’opinione pubblica del tempo. Questi sono anche gli anni del
suo matrimonio con una donna andalusa, Maria Cerezo, dalla quale, però, non
ebbe figli.
Il
nome di Vespucci cominciava intanto a essere conosciuto e celebrato: due sue
lettere sui viaggi compiuti, dirette dal Vespucci a Lorenzo di Pier Francesco
dei Medici e al gonfaloniere Piero Soderini, venivano tradotte in latino, in
francese e in tedesco e, anche grazie alla recente invenzione della stampa,
conoscevano una rapida diffusione per tutta l’Europa. Le relazioni del
fiorentino, divenute popolari, accrebbero la sua reputazione e prepararono
l’opinione pubblica a considerare il Vespucci come scopritore del nuovo mondo.
Questo concetto finì con l’insinuarsi negli uomini di scienza, e fin dall’anno
1507, il geografo tedesco Waldseemuller, che aveva una tipografia a St. Dié
(Vosges), pubblicò un’opera intitolata Cosmographiae
introductio, nella quale, affascinato dalle pagine del Fiorentino, proponeva
il nome America per la quarta parte del mondo.
Cadono
così le accuse di usurpazione e di plagio lanciate contro il Vespucci: il nome
di America, infatti, venne imposto al Nuovo Mondo a sua insaputa e, per di più,
da parte uno scrittore col quale il Vespucci non ebbe mai relazioni e del quale
non conobbe mai neppure il nome.
In
vita Amerigo fu stimato da quanti lo conobbero, né fu mai percepito come rivale
di Colombo: Pietro Martire di Anghiera, Francesco Guicciardini, Sebastiano Caboto,
Ferdinando Colombo e altri parlarono di lui sempre con riverenza e affetto.
Colombo stesso ne ebbe stima, come si rileva da una lettera in data 15 febbraio
1505, scritta dal figlio di Cristoforo, Diego. E non poteva essere diversamente
perché sincero è il fervore che trapela dalle sue pagine: in esse, poi, non si
dimentichi, c’è la sicura consapevolezza che il Mundus novus non era l’Asia, ma un continente sterminato e
sconosciuto da aprire alle conquiste, ai commerci, ai sogni di potenza e
ricchezza degli europei. Alle loro speranze.
Nonostante
ciò, attorno al suo nome crebbe una fama di usurpatore, impostore, truffatore:
questi gli appellativi che, nel corso dei secoli, non pochi storici hanno
attribuito al Fiorentino. Giudizi senz’altro immeritati per un uomo del
Rinascimento, geniale e avventuroso, che non ebbe altro limite se non quello di
aver condiviso con pienezza le passioni del suo tempo e gli entusiasmi dei
contemporanei per l’evento più straordinario mai toccato alla civiltà europea.
Di averne colto molte delle formidabili - e devastanti - novità e averne dato
notizia.
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