di Caterina Donatelli
Parli
poco ultimamente, ti sottrai dalla comunicazione forse per scelta o è solo
un’esigenza del momento, non lo sai e non vuoi indagare, così devi scegliere
cosa dire, quelle poche volte che lo fai.
Allora
finisci per ingoiare il magma dell’esistenza e la comprimi in un unico buco e
spingi; quello che ne esce è l’estratto, una stilla di tutto ciò che ti
ammutolisce e reprime l’anima.
E
più il tempo passa, più il mucchio di cose non dette si accampa da qualche
parte, a costruire un spazio vuoto che stacca te dal mondo, lasciando una
risacca di passioni abbandonate che scheletriscono al sole.
Come
queste sedie, scarne e malinconiche disposte casualmente, ombre reduci di tutte
le presenze passate da lì, fermate in un tempo di attese sospese e poi andate
via lungo quel viale stanco, schiacciato da nervosi tacchi neri.
Ma
tu lo sai che basterebbe poco, un gesto, un atto di riscatto, basterebbe
aggrapparsi al frusciare dei rami che svettano sopra quei tronchi duri e
lasciare salire il respiro oltre le fronde.
Lanciare in aria le sedie che tirerebbero
fuori ali bellissime pronte a esibirsi in acrobatiche geometrie di libertà e ti
inviterebbero a danzare, a spogliarti nella leggerezza.
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