di Fabio Greco
Ho letto con colpevole ritardo il romanzo di Orhan Pamuk Il museo dell’innocenza. L’ho letto (finalmente) come viatico per
un viaggio a Istanbul, avendomelo qualcuno consigliato come una buona guida
alla Istanbul che c’è, ma soprattutto alla Istanbul che c’era. Così ho potuto
accompagnare alla lettura di questo chilometrico libro una visita al Museo dell’innocenza vero e proprio,
recentemente inaugurato dallo scrittore stesso nella città turca. Le due cose,
lettura e visita museale, si sono integrate e potenziate reciprocamente,
producendo un’esperienza difficilmente dimenticabile.
Il romanzo, dicevo, è ponderoso, e conosco qualcuno che non è
riuscito a giungere a fine. Vuol dire che non gli è successo quel che è successo
a me. A me è successo che ci sono sprofondato dentro e mi sono sentito come un
pesce nell’acqua. Accolto, Nutrito.
Il museo
dell’innocenza è un
romanzo che non va a diritto, ma procede a spirale. Quando individua un tema vi
si avvolge attorno, ritorna allo stesso punto da cui siamo in attesa di
staccarci e sembra non volersene allontanare, ma intanto procede, per gradi
millimetrici. Una spirale. Che ha la carica ipnotica delle spirali, appunto, Se
ti lasci prendere, è fatta. Se invece hai fretta, e magari cominci a saltare
qualche paragrafo, allora è meglio non aver neppure iniziato.
Il libro è una grande storia d’amore: la storia del
protagonista-io narrante, Kemal, per una ragazza bellissima, Füsun. Un amore che occupa ogni luogo del corpo
e dell’anima di Kemal, e lo strazia e
gli fa scoprire che da quello strazio può nascere per lui l’unica possibile
felicità. E attraverso gli occhi di Kemal, attraverso tutti i suoi sensi, anche
il lettore si innamora di quella splendida ragazza. Anche lui vorrebbe incontrarla,
toccarla, sfiorarne la pelle, il seno. Vorrebbe almeno averne un’immagine
fisica, una fotografia.
E invece, anche visitando il piccolo Museo di Istanbul
(cresciuto nella fantasia di Pamuk insieme al romanzo), l’unica curiosità che
noi lettori non possiamo soddisfare è proprio quella di vedere Füsun, la sua grande bellezza. L’autore la
lascia alla nostra immaginazione, come dev’essere. In compenso, troviamo in
quel Museo, già citati nelle pagine del romanzo, migliaia e migliaia di oggetti
che il protagonista ha accumulato nel corso della sua vicenda passionale, tutti
quegli oggetti che a lui (ed a noi) ricordano il volto, il corpo, il tocco, il
profumo, il calore, la voce, i luoghi, la tristezza di Füsun.
Un libro sul valore di quegli oggetti che, per un motivo o per
l’altro, entrano nella storia di ciascuno di noi. Un bell’antidoto per un mondo
in cui domina l’usa e getta e tutto finisce in spazzatura.
ORHAN
PAMUK “IL MUSEO DELL’INNOCENZA”, EINAUDI
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