foto gianni quilici |
Vado a Venezia con
due propositi: dimenticare ciò che ho già visto in altri viaggi, cercando
invece quello sguardo primigenio, che solo attraverso il silenzio della
contemplazione può trovare l’incanto di ciò che prima non era e che ora,
invece, esiste ai miei occhi; e poi
eliminare (per quanto sia possibile) i percorsi turistici, perché il turismo
(la folla e i negozi-negozietti) si interpone alla possibilità di trovare quel
silenzio e quella contemplazione in se stessi.
A Venezia vorrei
innanzitutto abbandonarmi. Per abbandonarmi non devo avere una meta precisa. Voglio,
però, avere degli obiettivi. Non mi basta perdermi, stupirmi contemplare.
Voglio rappresentare. Soltanto con gli occhi non riesco a rappresentare. I miei
occhi, purtroppo, vedono con molta fatica. Più che cogliere l’oggetto per come
è fatto, colgono, a volte, il sentimento che questo oggetto può trasmettere. In
altri termini sono occhi più da poeta (senza che necessariamente lo sia) che da
scrittore. In questo senso la macchina fotografica diventa uno dei miei
linguaggi. Un linguaggio che può descrivere come un romanzo (un palazzo, un
paesaggio, un oggetto), ma che soprattutto può cogliere quel movimento in cui
si incontrano l’elemento statico con l’elemento o gli elementi dinamici.
Cogliere, cioè, quell’attimo fuggente, irripetibile, poetico che tanti
fotoreporter cercano o hanno cercato, creando piccoli o grandi capolavori nella
storia della fotografia e che nasce da un colpo d’occhio immediato oppure anche
da una pazienza infinita in un luogo.
Però non mi basta.
Lo scatto fotografico, nel mio caso libero da commissioni, realizzato per puro,
semplice piacere, mi pare troppo facile, anche se poi difficile è scattare quella foto, in cui vive il tocco
della poesia o di un reportage. Non mi basta, perché la foto racconta soltanto
attraverso un’immagine.
Ho bisogno, cioè,
anche di parole. Forse perché nelle parole c’è ancora più “io”. Le parole del
racconto, o meglio ancora del taccuino di viaggio. Le parole dell’emozione e
della musica, cioè della poesia.
E infine le parole
del pensiero, le parole del capire ciò che si ha davanti, che richiama la
storia, l’estetica, la scienza, compresi i linguaggi.
Ecco che la foto e
la scrittura diventano bisogni complementari nel mio essere in viaggio, anche
se sempre difficilissimi da realizzare all’unisono.
Questi sono i
propositi. I miei. I risultati sono –come è ovvio- “quelli che sono” e comunque
sempre impari ai desideri. Imparare, quindi, dalle frustrazioni ad affinare
scelte e strumenti, linguaggi e sguardi.
1 commento:
Venezia è la città ideale per ritrovarsi smarrendosi per calli e campielli, quelli più solitari ed appartati, quelli lontani dai flussi turistici. La città offre scorci sorprendenti e atmosfere surreali ds gustare in silenzio. La macchina fotografica è un'ottima compagna capace di fermare attimi unici e poi , come la usi tu, pochi la sanno usare.... Salvina Alba.
Posta un commento