appunti di Emilio Michelotti
Questo magistrale studio si apre con
la constatazione dell’esistenza, nel testo tragico, di imbarazzi atavici legati
all’organizzazione familiare incestuosa (la comunità mostruosa delle origini
umane – Caino e Abele sposati alle sorelle). Le figlie-sorelle di Edipo
(Antigone e Ismene) sono un essere solo, “comune”, figlie e nipoti di Giocasta.
Vi è un legame di sangue iperbolico, assimilazione-ingerimento dell’una
nell’altra.
Anche la casa di
Laio ha una coesione genealogica, ma ben diversa: Polinice-Etèocle –i due
fratelli rivali rappresentano una fusione di dualità. La sintassi della
separazione individuale (la nostra), va contro i misteri e i diritti di sangue.
Il coro, nell’ottica di Steiner, è vestigia della collettività tribale che
rendeva possibili e necessarie le fusioni di sensibilità, intenti e azioni.
Antigone è“ innamorata, appassionata, dell’impossibile”(V.90).
Nel V stasimo il
coro è “ditirambicamente” teso all’arrivo di Dioniso, mentre nel I stasimo,
”l’Ode all’Uomo”, (gli stasima sono
le odi corali) è insita una dialettica insolubile fra un ritorno al focolare
totemico e il nuovo focolare, un’istituzione privata garantita dalla legge.
Solo in un ritorno
alle tenebre, alla “notte della tomba di roccia”, Antigone potrebbe ritrovare
la collettività primitiva e ricongiungersi alla triade Edipo-Polinice-Etèocle.
Ma non è sicura che la morte non si rivelerà una solitudine ancora più acuta di
quella che deve sopportare in vita (il destino è falso e ironico).
Le sovranità
dell’individuo proclamate dal metodo cartesiano hanno lasciato l’uomo nudo. Per
Steiner è convincente l’interpretazione junghiana della natura corale dell’arte
e del mito. Le voci della consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici
dell’ombra e, allo stesso tempo, cercano di ritornarvi.
L’autore paventa un
rischio e individua un’antinomia: il proliferare delle interpretazioni rischia
di seppellire il poema, eppure la sua sopravvivenza è anche assicurata dal processo
ermeneutico
Versi 198-206 –
Creonte lancia a Polinice una triplice accusa: vuole ridurre in schiavitù i
tebani; vuol mettere a ferro e fuoco la città; è venuto per “per bere il
sangue, per cibarsi dei suoi congiunti”. (Lo stile di questo passo è, dice
Steiner, “primitivo”, con influenze omeriche e dei Sette contro Tebe di Eschilo).
L’editto di Creonte
che condanna all’insepoltura i resti di Polinice non è solo furbizia per far
aderire il coro e i cittadini a una causa dispotica. Anche se fosse questo il
pensiero di Sofocle, oggi, dopo l’affermarsi della critica ermeneutica, non
possiamo accettare, dice Steiner, il potere assoluto dell’autore nel
determinare i significati. Inoltre, per Steiner, il decostruttivismo
ermeneutico era già inerente alla pratica drammatica greca, era già presente e
in azione nel coro, in modo “autosovversivo”.
La tragedia, ma
tutta la cultura greca, riflette e comunica l’esperienza umana in termini
conflittuali e polemici, agonistici, come nessun altro pensiero prima di Hegel.
Antigone, rifiutando la “verità di guerra”,
manifesta un’etica femminile e antieraclitea (nella visione di Eraclito la
guerra è totale, coinvolge dèi, mortali, animali e natura). Per lei la guerra è
calamità che stravolge il sistema stabile di fedeltà “parental-trascendente”.
Eric Dodds, ricorda
Steiner, ha studiato magistralmente gli atteggiamenti dei Greci nei confronti
dell’irrazionale. Pochissimo sappiamo però delle “sospensioni di incredulità”
che la tragedia dionisiaca implicava (conoscenze mitologiche, accettazione del
divino e del demoniaco, grado di ironia letteraria nel corpo della tradizione
mitica). In che misura il miracoloso si trasformava in metaforico? Nelle Baccanti di Euripide, ad esempio,
persiste una forza primordiale di nudo terrore.
Nei miti è incisa la possibilità del
soprannaturale, sia in quelli erosi, sia nei miti-ombra che formano le metafore
e la stessa sintassi umana, dove affiora, specie nei poeti, il misterioso,
l’extrasensoriale, l’allucinatorio, l’ipnotico. Conrad (Cuore di tenebre) è profondamente sofocleo. –Solo la musica può
compiere questa estrinsecazione in modo più tenebroso ancora del linguaggio.
Per questo i versi 417-425 sono “intraducibili”.
Versi 422-423- Che
cosa evoca il discorso della guardia? Terrore imminente, possibilità di un
intervento soprannaturale: la colonna di polvere vorticosa nasce dalla terra e
s’innalza verso il cielo. Il primordiale santuario dei morti, la terra, è
trasformata in un vortice di polvere: quella che Antigone sparge sul cadavere
di Polinice sale verso gli stessi dèi che l’hanno suscitata. C’è una contiguità
fra la sepoltura che Antigone dà a Polinice e il vortice sollevato dagli dèi,
le cui polveri si uniscono indissolubilmente.
Il nido-letto di
Antigone sarà vuoto, non diventerà mai sposa e madre, la sua progenie è
annientata in nuce (Freud e Sofocle coincidono sull’identificazione del
nido-grembo-letto). Il lamento e gli strilli da uccello di Antigone sono più
antichi, meno razionali dell’uomo e del suo discorso.
Il coro è sensibile alle manifestazioni
fenomeniche del divino ed è timoroso che tali manifestazioni siano pericolose
per la città: solo nel V stasimo, fuori-di-sé, valicherà il limes della
razionalità e della Tebe civica, con l’invocazione estatica a Dioniso.
L’astensione, l’esclusione dei fatti della
fisicità violenta dalla scena dà al “mondo della parola” un’urgenza di
intensità paradossale, che acquista energie e forze: la parola diventa attore,
si libera dall’asservimento alla (simulata) azione.
“Su ciò di cui non
si può parlare non si può tacere”, Heidegger (e Steiner con lui)
rovescia Wittgenstein: egli scorge anche in Sofocle, come in Holderlin, una
presenza residuale, gli ultimi fuochi dell’Essere stesso, del nucleo ontologico
che precede il linguaggio e da cui il linguaggio attinge le sue capacità di
significare molto di più di ciò che può essere detto.
19)- Nei versi
441-581 Sofocle realizza la totalità delle categorie dei conflitti attraverso i
quali l’uomo definisce se stesso –avvenimento unico, per Steiner, nell’intero
quadro universale dei testi letterari: dialettica dei sessi, delle generazioni,
della coscienza privata e del bene pubblico, della vita e della morte, del
mortale e e del divino. Sono le componenti radicali dell’umanità, che va sempre
provata e delineata daccapo nel confrontarsi con l’altro. Esaminiamole.
1- Se di tutta la
letteratura ci restasse solo questa scena centrale dell’Antigone, i lineamenti
fondamentali della nostra identità e della nostra storia, certamente per quel
che riguarda l’Occidente, sarebbero visibili. Il primo assoluto in conflitto è
fra uomo e donna, essi sono una sola cosa eppure sono inalienabilmente diversi:
è il paradosso del fac-simile, fonte originaria dell’incomprensione e forse
della stessa tragedia dionisiaca. Ogni scambio verbale è drammatizzato da una
dualità psicosomatica, perché mostra l’unità dell’amore e dell’odio.
2- La centralità
dell’erotico è un fenomeno cristiano. Qui al centro è posto l’ordine naturale
(cosmico) e la sua gerarchia fondamentale: la forza “maschile” (politica) di
Antigone nega la virilità di Creonte. “Nessuna donna mi governerà”, afferma il
re: meglio andare in rovina per mano di un uomo che soccombere, anche di poco,
a una donna (questo dirà Penteo nelle Baccanti).
3- Eppure, una volta
vittima, evolve la femminilità di Antigone: ella piange dentro di sé le altre
vite future che solo una donna può generare. Anche il suo suicidio ha un’aura
femminile, perché è risposta primordiale alla insensibilità maschile; e la
morte illibata –come il parto illibato presente nei miti di tutte le culture-
conduce al centro ctonio di quello che è la donna.
4- Nemmeno i
conflitti fra generazioni sono negoziabili: tema antropologico ma anche poetico
(le radici dell’Ellade si trovano forse nel XXIV dell’Iliade, dove il vecchio
Priamo e il giovane Achille si incontrano per discutere la restituzione al
padre del corpo di Ettore). La vecchiaia è degna di onore perché sinonimo di
saggezza, eppure significa rischiare la derisione per le proprie infermità e per
il declino della sessualità. Nella morte dell’eroe giovane in Sofocle c’è la
stessa simmetria fra spreco e gloria che in Omero: è meglio non esser mai nati,
o altrimenti morire giovani. La vecchiaia è quel che di peggio possa capitare
(Sofocle-Edipo a Colono)
5- Qual è il peso
della giovinezza di Antigone quando s’appresta a morire? Ella indica la
mostruosa singolarità della procreazione incestuosa –è sorella e figlia di
Edipo- e, al tempo stesso è “la più filiale delle figlie” (Edipo a Colono). E’
selvaggia e rozza come suo padre e come i cani mangiatori di carne umana dai
quali bisogna preservare i resti di Polinice. La forza oscura dei versi corali,
dice Steiner, lascia intravedere nel testo un rapporto inquietante fra
l’istinto primitivo dell’uomo e quello delle bestie predatrici e divoratrici di
carogne.
6- E’ nella natura
dell’uomo (Creonte assassino di figli, gli grida Euridice) provocare la morte
violenta della sua progenie. Sofocle indica una norma prescrittiva: si deve
sacrificare anche la vita delle persone più care agli ideali più nobili di
difesa della città e della civiltà. (E’ la motivazione con cui statisti e
generali spediscono i giovani alla tomba).
7- Il conflitto fra
coscienza e stato, com’è “inventato” da Sofocle (v.450seg), rappresenta il
testo canonico della percezione occidentale dell’individuo e della società: è
un dialogo fra sordi. Dove si situa l’abisso fra le domande di Creonte e le
risposte di Antigone? Creonte è la temporalità (diritto, giustizia, legge –una
violenza contro la physis?-),
Antigone è l’eternità (forze soprannaturali e arcaiche non scritte ma ancora
vive, non soggette a revoca, armonia
originaria del cielo con la terra). Ma questo ritorno all’assoluto può
verificarsi nell’ordine temporale dell’esistenza o solo con la morte? Se le
“leggi non sovvertibili” invocate da Antigone hanno un’universalità e
un’eternità manifeste perché non sono incise anche in Creonte e nel coro?
8- Non c’è
risposta: il tempo non è in comunicazione con l’eternità, Antigone sceglie
coscientemente una morte che Creonte non può capire, perché essa ha una
legittimità tutta anarchica, precedente alla ragione civica. Sofocle, come gli
Eleatici prima di lui, vede nell’invenzione della parola un passo immediato
verso l’organizzazione statale. Ma, come dirà Freud, egli sa che la stessa
civiltà produce i propri malesseri mortali, generando costrizioni e
autodistruzioni.
9- Non si può
sfuggire al paradosso della colpa innocente (il parricidio e l’incesto
involontari di Edipo), eppure deve avvenire la transizione da un codice di
relazioni solipsistico-familiare a un codice di storicità e ragione civica: sul
filo di intuizioni contraddittorie, l’azione maledetta di Antigone sembra
incarnare le aspirazioni etiche dell’umanità, mentre invece il legalismo civico
di Creonte provoca la devastazione.
L’intelligenza misteriosa dell’uomo ha dominato il cosmo, ma Eros,
padre della pazzia e della discordia, dominando l’uomo, ha dominato tutto,
compreso gli immortali. La pienezza dell’essere si collega a un potenziale
minaccioso di distruzione essendo al di là del bene e del male, al di là della
sfera etica: Eros è collocato a fianco delle leggi eterne. Antigone sfida anche
queste leggi, rinunciando, con le sue nozze con la morte, all’iniziazione e
alla consumazione sessuale: è una strada velleitaria, che disegna una
dialettica inconciliabile fra legge morale e vitalità.
George Steiner |
10- Versi
1115-1152. Ogni elemento di questi versi contribuisce a dare il senso della
possessione ditirambica (un pensiero dalla profondità straordinaria, suppone
Steiner, veniva danzato, mettendo il linguaggio “fuori di sé”, in
un’illuminazione violenta di musica e gesti). Dioniso ha potere di vita e di
morte, di rinnovamento e di distruzione, sia nella trance che nella lucidità –l’epifania di Dioniso è anche rovina.
L’intera città è contaminata (verso 1141) dall’animalità dell’uomo, ma è anche
minacciata dalle visitazioni del divino. Sofocle è ossessionato da
presentimenti in merito a una fragilità radicale che incombe sulla città
dell’uomo, dalla consapevolezza della terribile facilità con cui l’uomo può
essere abbassato al di sotto o elevato al di sopra della sua condizione –due
movimenti ugualmente fatali per la sua identità e il suo progresso.
11- Molti, oltre a
Kierkegaard, hanno osservato che Antigone è pervasa di morte: soprattutto la
seconda metà della tragedia è costituita da una serie di variazioni su questo
tema, caratterizzata com’è da una forte intensità e complessità, a partire dal
canto di morte di Antigone fino alla visione apocalittica di Tiresia. Sofocle
porta in scena la marcia inarrestabile dei morti sulla società in dissoluzione
dei vivi. Persefone, dal profondo dell’Ade, attrae a sé Antigone, Emone,
Euridice e Megareo: il Messaggero, nel verso 1173, afferma che appartenere ai vivi
significa essere assassini di morti. Le barriere della città secolare si
rivelano fragili e inadeguate: “cadavere abbraccia cadavere” (v.1240), è la
morte ora ad essere “nuova” e “giovane” (v.1288).
12- Solo il coro,
composto da vecchi, è radicato alla vita. Alle origini del pensiero metafisico,
Anassimandro poneva una simmetria del soffrire col vivere e il mistero di
un’ingiustizia ineluttabile implicita nelle azioni umane: Sofocle spinge
quest’idea di compensazione fino al commercio, all’equiparazione, tra vita e
morte.
13- Il quinto
grande asse riguarda l’incontro tra uomini e divinità. Tutta la tragedia ha una
dimensione esplicitamente religiosa, come la mitologia che ne è la materia di
riferimento. E’ una singolarità della cultura attica, che spiega anche la
brevità di questa esperienza creativa, data la sua tensione interrogativa e
sovversiva, tra epifania del dio e metaforizzazione -umanizzazione- dei suoi poteri. Fra i riti enfatici,
mimetici e catartico-terapeutici della tragedia e il contesto del dibattito
politico-metafisico c’è un evidente iato: dalla collettività al singolo
individuo, da Solone a Socrate, da una possibilità immediata di dispiegamento
simbolico teso e conciso, alla ragione civica predominante.
Se in Eschilo c’è
un sentimento di vicinanza con gli dèi, funzionale allo stadio titanico e
precivico dell’evoluzione, se la duplicità di Euripide rende gli dèi
irrazionali –più arcaici delle loro vittime mortali-, la sensibilità di
Sofocle, dice Steiner, coglie sia la minaccia della pressione anarchica
dell’irrazionale sulla civiltà, sia la hybris
presente nelle energie del progresso e della volontà di potenza.
Le intimità
primitive tra uomini e dèi sono ormai raggiungibili solo in modo eccentrico o
“scandaloso”: l’incesto di Edipo è come il ricordo dell’incesto più grande,
quello fra uomini e dèi. “Un umanesimo visitato dalla trascendenza” è la
definizione di Steiner della pietas
sofoclea.
Creonte vede il suo
rapporto con Zeus come una relazione blasfema di utilità reciproca: un do ut des. L’Antigone è
dunque antitheos? Sofocle è,
per Steiner, per ben distante dall’accento omerico ed eschileo sulla
sostanzialità imminente del soprannaturale: per lui gli dèi si accalcano vicino
alla negazione, da qui l’ambiguità della prossimità umana col divino, che è
tenuto a “distanza di sicurezza”.
La contiguità fra
dèi e mortali è foriera di catastrofi: nelle Baccanti di Euripide l’ibrido Dioniso –misteriosa progenie di un
incontro estatico di Zeus con la mortale Semele- supera la barriera del limes per vendicarsi.
Nell’esaltazione di una percezione
invasata il coro nomina e danza i tre miti del terrore che si collegano
all’incontro erotico e fatale degli dèi con gli uomini, perché il dio è lì, è
presente sull’altare dell’anfiteatro: gli uccelli gridano barbaramente, Efesto
rifiuta la sua presenza, la fiamma sacrificale non si accende e il grasso e le
viscere non bruciano, perché la città è infettata dalla carne putrefatta
strappata dagli uccelli al corpo insepolto di Polinice (vv.1039-1044). Creonte
scaglia una bestemmia che con rozza impudicizia assale lo stesso trono di Zeus:
mai farò seppellire Polinice, nemmeno se le aquile di Zeus portassero il suo
cadavere fin lassù.
Alla fine gli dèi arrivano e la
civiltà e la struttura della ragione soccombono: il conflitto uomo- divinità,
com’è messo in atto nella tragedia greca, ha carattere atemporale: non è
negoziabile ed è necessario quanto insolubile. Da qui la condizione tragica
dell’uomo: la ragione, che è la sua essenza, lo allontana irreparabilmente
dalla physis, dal suo rapporto con
l’unità del tutto
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