di Gianni Quilici
Guardando per la
prima volta l’immagine di Martine Franck,
ho pensato: “Ci sono due foto!” Forse scontata come impressione, forse meno come riflessione
che ne consegue.
Infatti, bellissimo
il volto con l’abbigliamento incluso della bambina. Ci sono gli occhi che (ci)
guardano nell’obiettivo assorti e profondi e c’è la bellezza del cappellino
floreale con la veletta, che le punteggia il candore del volto, trasformandolo
anche.
Già questo sarebbe
sufficiente per dire: “Che bel ritratto! Che bella foto!”
Tuttavia il
bambino, che sullo sfondo si sorregge alla sbarra di metallo crea una
moltiplicazione dello sguardo: si salta, cioè, guardando la foto, dall’una
all’altro e viceversa, perché sia la bambina che il bimbo sono per un verso
fortemente espressivi; per un altro dialettici: lei ci guarda/lui guarda
altrove, lei è in primo piano/lui in campo medio-lungo, lei è in posizione
statica/lui in equilibrio sospeso. Conseguenza: lo sguardo si è ampliato, la
foto è diventata più complessa.
Infine, la luce, o almeno una parte di essa, si
incontra con il pavé, illuminando pezzetti di pietra che in sé hanno una loro
resa fotografica e danno all’immagine maggiore compattezza e pregnanza
estetica.
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