01 marzo 2009

"Meno male che i conigli non parlano" di Anna Maria Bagordo


di Luciano Luciani


Genere letterario antico, la favola. Affonda le sue radici nel mondo greco, in brevi narrazioni risalenti al VII-VI secolo a. C. Sembra ne fosse autore Esopo, uno schiavo frigio che, dopo un’esistenza avventurosa e vagabonda, sarebbe stato condannato per furto sacrilego e giustiziato in quel di Delfi. Un’accusa falsa e una fine ingiusta che, come narra la leggenda, mosse addirittura lo sdegno di un dio, Apollo, il quale volle risarcire l’umile affabulatore diffondendone la fama e rendendo immortali i suoi scritti. Un dono divino confermato ancora mezzo millennio più tardi dalla imitazione dei testi esopiani operata da Fedro, anch’egli greco di origine ma romano d’adozione, in un latino semplice e popolare.

Palese l’intenzione pedagogica dei due autori; pratica la morale enunciata, fondata su un’idea di giustizia tanto semplice quanto ostile a ogni arbitrio dei potenti; simpatici e accattivanti i protagonisti in genere, ma non solo, gli animali della vita quotidiana a cui tocca il delicato compito di simboleggiare i vizi e le virtù degli uomini. Queste le caratteristiche in cui la favola si riconosce e con cui si prepara ad attraversare i secoli.

E se il medioevale Roman de Renard ci offre una rappresentazione vivace e penetrante della società del suo tempo e dimostra di essere in grado di criticare i costumi feudali e le convenzioni religiose e giuridiche, le Favole di La Fontaine bussano senza complessi alle porte del ‘secolo dei lumi’, condividendone razionalismo e pedagogismo. Non si trascuri, poi, la facilità e felicità con cui questo genere letterario riesce a contaminarsi della modernità del Novecento nei versi romaneschi facili e moraleggianti di Trilussa.

Anna Maria Altamura, è una scrittrice che, beata lei, non ha perduto il gusto della favola, non ha rinunciato ai diritti della fantasia e, secondo la migliore tradizione del genere, ama ancora “immaginare animali che parlano per insegnarci un comportamento civile e corretto”.

Attori riconosciuti delle sue pagine, i conigli, raccontati in una maniera nuova e originale: non le bestiole inermi, figurazione esemplare della timidezza se non della pavidità e neppure gli animali rivisitati in chiave epica e agonista dal celebre romanzo di Richard Adams, La collina dei conigli, a metà strada tra Tolkien e Orwell.

No, i protagonisti indiscussi della favola aggiornata all’oggi raccontata dall’ Altamura sono due conigli di ceto medio, due piccoli borghesi in tutto e per tutto intrisi dei modesti difetti e delle mediocri qualità morali della classe sociale attualmente maggioritaria nella parte fortunata del pianeta. Si tratta di animali sinantropi che vivono in relazione all’uomo, con esso e per esso e senza sarebbero perduti. Certo, più saggi, più equilibrati, più generosi, appaiono migliori dei loro ‘umani’ di riferimento sempre superficiali, disattenti, egoisti. Le donne e gli uomini si mostrano solo capaci solo di proiettare un cono d’ombra di negatività sull’ordinaria epica quotidiana che coinvolge tutti gli animali di casa: Arturo e Clotilde, innanzitutto, gli eroi di questa storia, una coppia di conigli “uno grigio e l’altra nera con il musino, la codina a ventaglio, le zampe e il contorno degli occhi bianchi”; Pucci, “una coniglietta tutta nera,con un pelo arruffato dietro la testa che sembrava un pavone, vivace e caotica” destinata a diventare la tragica eroina di questa nostra storia; Matilde, cagna “di una razza strana, piccola e tutta bianca con due orecchie che sembravano finte e un pelo folto come un peluche”; e poi, Jago, il gatto certosino, ambiguo e aggressivo; Oreste la Peste, topino senza complessi; i passeri Cipo e Cicci; Anselmo il pesce rosso; i piccioni Tartaglia e Gastone; Gustavo il pappagallo…Un vero e proprio zoo domestico, che ora esiste e si muove autonomamente secondo dinamiche proprie, ora, anche attraverso alcuni pungenti riferimenti all’attualità, si rimodella sui comportamenti del mondo degli uomini come sono o come sono diventati, qui e ora.

E sotto gli occhi di un Lettore sempre più incuriosito e partecipe, l’Autrice fa vivere e morire i suoi piccoli animali, liberi o in gabbia, altruisti o meschini, sciocchi o assennati, coraggiosi o vigliacchi…Proprio come gli uomini!
Una favola adeguata ai nostri tempi Meno male che i conigli non parlano…E che, quindi, non può risolversi in un improbabile lieto fine. Tocca a Pucci, la coniglietta nera che nel suo cuore non aveva mai cessato di accarezzare un irrealizzabile sogno di autonomia dalla gabbia e dai padroni, il compito di porre al lettore la ‘morale della favola’: la libertà, quella larga, piena, senza vincoli né limiti, è impraticabile? Forse ai conigli (ai conigli?) non rimane che rassegnarsi a un destino di supina, satolla subalternità?

Una filosofia, quella proposta dall’Altamura, che potrebbe apparire sconsolata e malinconica se, quasi a correggerla e a ridimensionarne la portata negativa, l’Autrice non avesse chiamato a interpretarla proprio i conigli, animali da sempre e in tutte le mitologie simbolo del rinnovamento perpetuo della vita, e quindi della speranza, in tutte le sue forme.

Anna Maria Bagordo Altamura, Meno male che i conigli non parlano, Giovane Holden edizioni, Viareggio (Lu) 2008 , Euro 10,00


Anna Maria Bagordo Altamura, leccese d’origine, lucchese d’adozione, ha insegnato per molti anni nella città toscana. E’ autrice di romanzi, racconti, favole, poesie, confortata nella sua attività letteraria da numerosi premi e importanti riconoscimenti. Nel 2001 per Manni ha pubblicato E venne Angelo…, nel 2006, per Maria Pacini Fazzi Acquerugiola, una silloge di poesie; nel 2007 per Giovane Holden edizioni di Viareggio, Mercante di parole, una raccolta di racconti e, in questo 2008 e sempre per la casa editrice viareggina, Vecchio?... No, grazie!, un viaggio tra emozioni, pensieri, riflessioni in libertà per non invecchiare.