07 marzo 2009
"Il principio antropico" di John D. Barrow e Frank J. Tipler
di Emilio Michelotti
Stimolante librone a doppia lettura, una per “esperti” e una per chi, come me, ha solo curiosità “scientifiche”. Che ci raccontano i due insigni fisici? In primis che è necessario essere consapevoli dell’effetto di selezione conseguente alla nostra esistenza come homo sapiens: questo principio di selezione –esiste solo ciò che ci è possibile cogliere dal nostro punto di vista spazio-temporale-, è la versione basilare del principio antropico -nota come principio antropico debole (PAD). Questo, dicono, è in un certo senso un perfezionamento del principio copernicano: gli epicicli di Tolomeo sono superflui in quanto l’apparente anomalia del moto retrogrado dei pianeti era semplicemente dovuta a un effetto di selezione antropocentrico, determinato dal riferimento peculiare alla terra in movimento.
L’esistenza della vita sarebbe, se ci si basa sul principio antropico debole, strettamente connessa alla struttura globale dell’universo, alla sua grandezza, alla sua espansione, alla sua “età”: quindici miliardi di anni dal big bang permettono (obbligano?) la nascita della vita. Come il teorema dell’incompletezza di Godel e il teorema della fermata di Turing, anche il principio antropico mostra che la struttura osservata dell’universo è soggetta a restrizioni, dovute al fatto di essere osservata da noi; al fatto, per così dire, che l’universo osserva se stesso, e questo induce un effetto di selezione.
Ma perché le dimensioni del cosmo –e le nostre- non sono né casuali né il risultato di una selezione fra moltissime possibilità, ma sono obbligate? Perché sono conseguenze necessarie dell’equilibrio fra forze attrattive e repulsive, che possono essere considerate costanti di natura?
Se, ad esempio – spiegano gli autori - le intensità relative delle interazioni nucleare ed elettromagnetica fossero anche leggermente diverse da quelle osservate, in natura non esisterebbero atomi di carbonio e quindi neanche noi. Qualcuno (Carter) azzardò l’idea più metafisica che scientifica che l’universo deve esser tale da ammettere, a qualche stadio del suo sviluppo, la presenza di osservatori al suo interno – idea che rappresenta una dilatazione del principio antropico alle sue estreme conseguenze (il nostro è il migliore dei mondi possibili).
Tre tipi di universi possono essere pensati sulla base del principio antropico forte (PAF), ossia dell’idea già accennata che l’universo deve poter consentire lo sviluppo della vita, a qualche stadio del suo sviluppo:
1)- Condizioni iniziali diverse per il big bang portano necessariamente ad un universo diverso da quello da noi osservato dopo quindici miliardi di anni di espansione.
2)- Qualunque cosa abbia probabilità non nulla di accadere accadrà da qualche parte, anzi si verificherà un numero infinito di volte. Tutti i possibili universi –invisibili o non osservabili- distanti da noi oltre quindici miliardi non ci possono essere accessibili, ma potrebbero essere accessibili alla evoluzione di altri osservatori. Le teorie inflazionarie predicano che un universo infinito deve essere estremamente non uniforme oltre il nostro orizzonte degli eventi.
3)- La terza ipotesi è puramente speculativa, fondata sul considerare variabili i valori delle costanti fondamentali. In un universo ciclico-oscillante i valori potrebbero cambiare ogni volta che esso collassa nel big crunch (grande sgretolamento) prima di riemergere in una nuova fase di espansione.
Le teorie caotiche di Gauge tentano di dimostrare che un universo sufficientemente vecchio e freddo contiene inevitabilmente apparenti simmetrie o costanti di natura, che non esistono affatto nelle condizioni iniziali di alta temperatura.
Vi è una quarta classe di mondi possibili, che cerca di sfuggire ai paradossi connessi all’interpretazione della meccanica quantistica a partire dal ruolo dell’osservatore (se presupponga o sia incompatibile con un’impostazione cartesiana, questo non l’ho capito): è quella a molti mondi di Everett e Wheeler. Essa prevede la simultanea esistenza di infiniti universi, tutti ugualmente reali e tutti causalmente disgiunti.
Coincidenze fortuite o conseguenze inevitabili dei particolari valori assunti dalle costanti? Il fatto che la massa di un corpo umano sia la media geometrica tra la massa di un pianeta e la massa atomica, e che la massa di un pianeta sia la media geometrica tra la massa atomica e la massa dell’universo osservabile è sorprendente, ma queste apparenti coincidenze, secondo Barrow e Tipler, sono in realtà conseguenze dei particolari valori numerici delle costanti fondamentali che definiscono le interazioni gravitazionali ed elettromagnetiche. Al contrario, il rapporto tra raggio terrestre e distanza terra-sole sarebbe pura coincidenza, eppure, se tale rapporto fosse solo leggermente diverso, sulla terra non vi sarebbero osservatori.
Il nuovo “principio antropico ultimo” si lega all’ipotesi che la vita sia inestinguibile. E’ una teoria dalle implicazioni fantascientifiche: prevede la colonizzazione dell’intero universo/i ad opera del pensiero umano, sotto l’aspetto di macchine autoreplicanti cui la mente creatrice dell’uomo ha dato il via. Scienza e mito tornano a darsi la mano?
John D. Barrow/ Frank J. Tipler – Il principio antropico. Feltrinelli, Milano - 2002