di Mimmo Mastrangelo
Lo danno per il Ken Loach spagnolo. E lui, Fernando Leòn Aranoa, ne è lusingato, anche se dell’accostamento al grande regista inglese prova pure un leggero imbarazzo. Madrileno, 44 anni, una forte attrazione per quei pezzi di società sempre più in difficoltà ed invisibili a causa dei frutti avvelenati della pianta del liberismo, Fernando Leòn Aranoa tra il suo primo lungometraggio, “Famiglia” del 1996 e l’ ultimo, “Amador” dello scorso anno, ci ha regalato altri cinque film uno più incastonato dell’altro in un cinema politico che freme nell’urgenza di far conoscere storie di uomini e donne perdenti.
L’ultima edizione del Bergamo Film Meeting ha proiettato del regista-sceneggiatore spagnolo tutti i suoi film (compreso il cortometraggio “Sirenas”) e pubblicato una monografia curata da Chiara Boffelli. Prima di passare dietro la macchina da presa, Aranoa si è innamorato della scrittura cinematografica, ad un corso di sceneggiatura con tre docenti “ compresi – svela in un’intervista con Boffelli – che la materia prima dell’inventare storie era la vita, le relazioni umane, le nostre debolezze, i nostri punti forza, tutto quello che abbiamo di buono e di cattivo”. Il regista ritiene che fare cinema significa comunicare, nello specifico le sue opere vogliono far conoscere un teatro della vita in cui si accalcano personaggi-naufraghi dalle esistenze lacerate e dai sogni infranti.
Ma nonostante la precarietà delle storie e il dramma che esse racchiudono, i personaggi di Aranoa (come nei film del francese Guediguian) non si risparmiano in quanto ad humor e si fanno ancor più credibili quando stemperano lo stato della loro pesante condizione con dei flash di allegria. Cinema di storie ben costruite ed elaborate, che seguono il più delle volte le direttive della coralità, una filmografia che sembra voler “fare ordine, rimettere ogni cosa nella giusta posizione in una scala di valori spesso invertita”.
Insieme a “Familia” e “Amador” non si possono non citare altri titolo: “Caminantes” (2001) in cui la vita di un villaggio messicano viene trasformata dalla notizia della marcia dell’esercito zapatista, oppure “Princesas” (2005) che apre uno squarcio sul mondo della prostituzione madrilena rendendo visibili i rischi e i sentimenti che si annidano nella vita di chi deve sbarcare il lunario con il più antico mestiere del mondo. Ma il film manifesto del lavoro fin qui svolto da Leòn De Aranoa è sicuramente “I lunedì del sole” (2002), il cui titolo è pure una metafora di come i giorni diventano tutti uguali quando si perde il lavoro (e quindi il lunedì si sta al sole, a far niente, come se fosse domenica). Qui lo sguardo autoriale si spinge in quegli spazi della vita degli operai che si svuotano, afferra il disagio sociale e lo squaderna senza nessuna commiserazione o spettacolare “ammuina” .
Come riconosce Chiara Boffelli, il cinema di Fernando Leòn De Aranoa parla dell’oggi e lo affronta, lo analizza con strumenti intelligenti, sottili, raffinati. Un cinema che a volte basta una battuta per coglierne le sfaccettature. Si pensi a quella frase verità de “I lunedì del sole” : “Tutte le cose meravigliose che ci dicevano del comunismo erano false, ma il vero problema si rivelò che tutte le cose terribili che ci dicevano del capitalismo erano assolutamente vere”.
FERNANDO LEON ARANOA: IL KEN LOACH SPAGNOLO. monografia edita dal BERGAMO FILM MEETING, a cura di CHIARA BOFFELLI
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