di Fulvia Quirici
Questa non è una recensione,
ma un incontro. L’incontro con uno spettacolo teatrale, che si è svolto presso la
casa di reclusione di Volterra, un incontro con i ricordi, che il luogo e lo
spettacolo hanno suscitato.
Un paradosso bellissimo
La ginestra che spaccava le colate d’argilla solidificata, crettate e murate dal sole, cresceva comunque alta: eruzioni di giallo intenso a spezzare la crosta cinerina del pendio. Era di certo possibile, lo vedevo, ma era comunque un fatto incredibile da ritrovare così, con tanta bellezza e irruenza, perché le cose si leggono, si imparano ma hanno senz’altro un sapore diverso se si vivono: ci insegnano immensamente di più.
E salivo per la strada antica che mi aveva portato a gelati freschi, a passeggiate per le stradine intorno alla fortezza, ad immaginare che vita facesse quel cugino di secondo grado di mio padre che era finito per pene d’amore in manicomio. I dottori avevano deciso che doveva stare lontano da tutto, segregato, isolato dalla vita reale. Ero anche bambina e così alle domande mi si rispondeva in maniera leggera perché io chiedevo ‘come mai una persona che sta male deve essere anche punita rinchiudendola a vita? Non si ammala di più?’ e l’unica cosa che mi rispondevano era: ‘stare in mezzo alla gente gli farebbe più male’.
Ma vengo a ora. Avevo idee abbastanza precise di quello che avrei trovato perché ero stata introdotta da una persona che vede prevalentemente con il cuore, poi con gli occhi. Ma, ciò nonostante, non credevo possibile una rivoluzione, un rivoltamento, una possibilità di perdere il timone.
Sedevo, in fondo, e traguardavo al di sopra dell’ombreggiante: una guardia in garitta dall’alto del muro antico, traguardava il dietro le quinte e spiava gli attimi di fulgente libertà dove una mano tocca un’altra mano, dove una spalla si appoggia all’altra, un’evasione collettiva in un budello lungo dieci metri e largo, a occhio e croce, tre.
Prima che tutto avesse inizio ai miei occhi, tutto già capitolava dietro.
Ma esce il primo attore e cattura, ruba il silenzio e tutti gli occhi, tutti sono piantati su di lui. Pure i miei, anche se di tanto in tanto mi sforzo per distrarli e guardare intorno, vedere e scrutare le reazioni. Io non so niente e non so chi è aguzzino e chi vittima, chi colpevole e chi innocente. Leggo solo gli sguardi e i sorrisi e l’allegria di tutti: una dilagante gentilezza m’avvolge. Impressionante che tutto questo calore si trovi in un luogo dove si scontano le pene. Eh no, non era così che me l’ero immaginato.
E così passano i minuti, veloci e scanditi dal ritmo genuino delle storie che si dipanano e traspare sopra a tutto l’entusiasmo e la passione che ci mettono: ammiro quelle anime che di colpo associo a delle barre d’acciaio, finite con l’essere fiocco, piegate e plasmate da una vita che avranno anche voluto e che avranno anche trovato o che sarà stata la meno peggio che gli sia capitata di vivere.
No, non è un buon momento per stilare una compilation di sentenze e giudizi: i giudici nel bene e nel male hanno già attaccato il collo di queste persone al binario della Legge, mandandoli ciascuno per le proprie colpe nelle mani di una gerarchia di uomini e donne che devono contenere e recuperare, recuperare e contenere.
Poi si è diradata, per progetto del regista, la maglia dell’allegria e lui stesso, il regista, c’ha mischiato un’amarezza preparatoria: ho iniziato a percepire cosa sarebbe successo dopo.
Si è conclusa così la 15° edizione dello spettacolo teatrale dei detenuti dell’alta sicurezza, o meglio la penultima rappresentazione di quest’anno. Alla gola un nodo perché dalla caciara che c’era fino a un po’ prima si passava a un’altra fase: il ritornare a vedere le mura medioevali come contenitori asfissianti, gli attori, dismessi i vestiti e i trucchi di scena, ritornavano uomini e il tempo riacquistava il peso solito, quello di loro che è diverso dal mio. È per questo che mi sono domandata se potevo io concedermi il lusso di commuovermi. Ho rintuzzato quelle lacrime, ho aspettato che l’emozione passasse e poi mi sono mischiata fra quei colori bellissimi, delle loro persone, delle loro anime che parlano attraverso gli occhi, attraverso una stretta di mano, che diventa un contratto di vita, per sempre.
Ho percepito in quegli occhi un rispetto profondo, un’attenzione per i particolari, un abbraccio infinito e un invito a entrare in quel mondo; in maniera inusuale fra le persone ‘libere’, ho sentito davvero la libertà di essere accettata esattamente per come sono, senza alcuna pretesa o aspettativa.
L’ho colto subito, all’istante e ho incrociato occhi belli e mi sono fatta abbracciare e ho risposto come potevo, alla meno peggio, sentendomi diverse volte in difetto per non poter lasciare in quel cortile almeno quanto stavo ricevendo.
E qualcuno ha parlato di
‘Speranza’, come di una bestia strana che ti illude e ti rende duttile nel
credere che un cavillo, un’alchimia giuridica, possa riaprire la porta di ferro
in fondo al corridoio. Quanta disillusione in quegli occhi che mi parlavano e
proseguivano dicendo che sperare è legittimo solo se si ha un Dio al quale
appellarsi.
Lì ho avuto un sussulto, un piccolo moto interiore di rabbia quasi: si sbaglia, quasi come ci si ammala, come quel mio lontano parente. Si può sbagliare anche pesantemente ma non si può togliere mai, a nessun individuo, la possibilità di sperare. Questa è la sola cosa che guarisce l’uomo.
E l’uomo che guarisce, dopo aver provato la morte, è senz’altro migliore.
Lì ho avuto un sussulto, un piccolo moto interiore di rabbia quasi: si sbaglia, quasi come ci si ammala, come quel mio lontano parente. Si può sbagliare anche pesantemente ma non si può togliere mai, a nessun individuo, la possibilità di sperare. Questa è la sola cosa che guarisce l’uomo.
E l’uomo che guarisce, dopo aver provato la morte, è senz’altro migliore.
PLAUZEUR
regia: Alessandro Togoli
Attori: Compagnia Alta
Sicurezza:
i ragazzi: Sebastiano, Antonio, Antonio, Stefano, Giuseppe, Antonio, Lin, Emanuele, Gaetano, Luis, Giuseppe, Vincenzo, Mario, Emanuele, Mirko, Massimo, Marco.
i professori: Alberto Zuliani, Ganluca Comandi, Ilaria Gabellieri, Liviana Negri, Laura Casalecchi, Elena Garruccio.
Parte tecnica: Antonio, Stefano.
Parte culturale: Antonino.
Scenografi: Luigi, Antonio, Vincenzo, Sandro.
Fotografa: Sara Togoli
Luoghi: Volterra Casa di Reclusione 5,6,8,9 giugno 2012
Queste sono le sole repliche, non ne saranno fatte altre.
Nello specifico:
5 giugno per un pubblico di detenuti della media sicurezza
6 giugno per gli studenti maggiorenni delle scuole esterne di Volterra
8 giugno per un pubblico esterno ad invito
9 giugno per i familiari degli attori detenuti
i ragazzi: Sebastiano, Antonio, Antonio, Stefano, Giuseppe, Antonio, Lin, Emanuele, Gaetano, Luis, Giuseppe, Vincenzo, Mario, Emanuele, Mirko, Massimo, Marco.
i professori: Alberto Zuliani, Ganluca Comandi, Ilaria Gabellieri, Liviana Negri, Laura Casalecchi, Elena Garruccio.
Parte tecnica: Antonio, Stefano.
Parte culturale: Antonino.
Scenografi: Luigi, Antonio, Vincenzo, Sandro.
Fotografa: Sara Togoli
Luoghi: Volterra Casa di Reclusione 5,6,8,9 giugno 2012
Queste sono le sole repliche, non ne saranno fatte altre.
Nello specifico:
5 giugno per un pubblico di detenuti della media sicurezza
6 giugno per gli studenti maggiorenni delle scuole esterne di Volterra
8 giugno per un pubblico esterno ad invito
9 giugno per i familiari degli attori detenuti
Note sullo spettacolo
Lo spettacolo, attraverso la
tecnica dell'intreccio, mette in scena diversi episodi: tre novelle del
"Decameron" (frate Cipolla, i due senesi, ser Ciappelletto), Rabelais
(inizio del "Gargantua e Pantagruel", le novelle popolari di Giufà
(siciliana) e di Papa Caiazzo (pugliese), oltre ad una libera interpretazione
della "Bisbetica Domata", diventata Catina, in versione
popolarsiciliana.
Il tutto reso unitario dal contesto scenografico, ambientato nel Medio Evo, e dal concetto di piacere, nel senso di ciò che vorremmo. Il finale, un testo collettivo dal titolo "Piacere è" e esplicativo del perché è stato elaborato questo testo.
Il tutto reso unitario dal contesto scenografico, ambientato nel Medio Evo, e dal concetto di piacere, nel senso di ciò che vorremmo. Il finale, un testo collettivo dal titolo "Piacere è" e esplicativo del perché è stato elaborato questo testo.
Note del regista, Alessandro Togoli
"Progetti futuri consistono nel continuare a fare scuola a livelli professionali, perché il nostro teatro è legato alla scuola; comunque ci sarà uno spettacolo legato alla shoà a febbraio (mi piacerebbe sui triangoli rosa) ed uno spettacolo a giugno dal titolo "Ma dov'è questa crisi" ed ispirato a Petrolini; sempre che non ci siano tagli o altro"
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