01 giugno 2012

"La bici campa dove l’auto crepa" di Luciano Luciani







Una sfida ormai vinta

Troppe le auto in circolazione e poche le infrastrutture. Ovvero le strade. Con una conseguente diminuzione della velocità negli spostamenti che, nei centri urbani italiani maggiori e minori, è scesa da una media di 9 km/h, registrata nel 2000, agli attuali, ancora più modesti, 7 km/h : insomma siamo tornati al tempo dei carri e delle carrozze a traino animale pre-rivoluzione industriale. Ragion per cui, nel traffico sempre più intasato ecco fare la sua ricomparsa, snelletta e leggera, la bici.        
          Già 15 anni fa, in occasione di una “sfida” organizzata in quel di Mantova da Legambiente, la risposta era stata inequivocabile: il mezzo di trasporto più veloce per muoversi in città è la bicicletta. Che non solo batte in velocità l’automobile negli spostamenti urbani, ma non avvelena l’aria, mantiene a livelli infimi il tasso di inquinamento acustico, contribuisce a dare un buon tono fisico a tutto il corpo. E quando arrivi a destinazione non ti crea problemi di parcheggio perché la puoi lasciare (quasi) ovunque: nello spazio occupato da un’auto possono essere parcheggiate più di 20 biciclette!
Insomma, le città (e soprattutto i cittadini) potranno tornare a muoversi solo se andranno in bicicletta… Sarà per questo che negli ultimi dieci/quindici anni sono cresciuti nel mondo l’uso e la conseguente produzione della due ruote, arrivata nel 2007 a ben 130 milioni di esemplari: il numero più alto di tutti i tempi, pari a tre volte quello delle automobili realizzate nello stesso anno.
Numerosi e differenti i fattori che spingono a un sempre più generalizzato uso delle due ruote.

Notizie dal sud del mondo
A Cuba, per esempio, le riscoperta della bici deriva nientemeno che dal crollo del ‘socialismo reale’ e dalla conseguente caduta verticale delle importazioni di petrolio sovietico che ha lasciato a secco la maggior parte degli autoveicoli dell’isola. Ne è derivato, a partire dall’inizio degli anni Novanta, una forte riconversione del traffico e dei traffici nel senso delle due ruote bicicletta. E oggi nell’isola caraibica oltre un terzo degli spostamenti avviene usando le due ruote e i muscoli.
Una situazione, quella cubana, per tanti versi simile a quanto ritroviamo nella maggior parte dei paesi dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia dove biciclette e tricicli costituiscono il mezzo più adatto per offrire mobilità a popolazioni a basso reddito e soddisfano dal 20 al 60% dei bisogni complessivi di spostamento e di trasporto-merci. Va ricordato che anche le grandi e popolose metropoli del Terzo e Quarto mondo (Rio de Janeiro, Lima, Città del Messico), soffocate dal sovraffollamento, dal traffico e dallo smog hanno trovato un sensibile giovamento nell’uso generalizzato delle due ruote e dei benefici effetti che queste sono capaci di indurre: diminuzione dello smog, decongestionamento del traffico, piazze e strade meno intasate e restituite a condizioni di maggiore vivibilità.
Per non parlare della Cina dove esistono 430 milioni di biciclette, la “flotta” più grande del mondo e la produzione di questo fondamentale mezzo di trasporto si è attestato sui 58 milioni di ‘pezzi’ l’anno (era di ‘soli’ 6 milioni nel 1976): circa il 40% della produzione planetaria di velocipedi, ma si presume che questa cifra sia destinata a crescere fino al 60% nei prossimi anni.
Secondo produttore mondiale di due ruote l’India con 12 milioni di bici costruite nel 2003 (l’ultimo anno di cui si hanno cifre certe).

Cops in bicicletta
Anche negli iper-tecnologizzati Stati Uniti la necessità di risparmi energetici sempre maggiori e una più spiccata sensibilità ecologica hanno fatto guadagnare consensi alla bici. Qui le leggi federali impongono oggi che ogni Stato nomini un coordinatore per il traffico su bicicletta e che ogni Stato e ogni area metropolitana si dotino di piani di gestione a lungo termine: gli Stati e i governi locali hanno, inoltre, la possibilità, tutta nuova, di creare strutture per le biciclette con parte dei fondi prima stanziati per le autostrade. Colpisce una curiosa notizia negli Usa, quasi il 75% dei dipartimenti di polizia dei centri urbani con oltre 50mila abitanti dispone di pattuglie di sorveglianza in bicicletta. I poliziotti su due ruote sono più veloci e possono raggiungere il luogo di un crimine o di un incidente in silenzio. Operano mediamente il 50% in più di arresti rispetto ai loro colleghi in auto e hanno costi di manutenzione enormemente più bassi rispetto alle pattuglie su quattro ruote. Merita, poi, di essere segnalata la scelta compiuta dall’ University of New England nel Maine e dal Ripon College del Wisconsin che hanno trovato conveniente dotare di una bicicletta ogni matricola dei loro campus, a patto che queste accettino di lasciare a casa l’automobile. Sostituire le auto con le due ruote, sembra che non solo riduca traffico e inquinamento, ma stimoli grandemente il senso di appartenenza a una comunità.

Europa e Giappone
Spostiamoci in Europa. Anche qui la bicicletta sta conoscendo un’importante fase di riconsiderazione e rilancio: l’Olanda ha più di una bicicletta a persona, mentre la Danimarca e la Germania poco meno di una a testa. In questi Paesi in dieci anni è quadruplicato il numero dei pendolari casa-ufficio ‘a pedali’. Uno stile di vita che aiuta a tenere basso il tasso di colesterolo e di trigliceridi, fa risparmiare benzina e spese sanitarie e quindi favorisce l’economia pubblica e le finanze private.
Insomma, a cinque anni dal Duemila, la bicicletta non è più solo hobby, sport o tempo libero, ma concreto elemento di modernità, segno di una ‘rivoluzione democratica’ nel campo dei trasporti urbani ed extraurbani, macchina povera ma in grado di rispondere ai bisogni profondi degli uomini tanto del Nord consumista quanto del Sud sottosviluppato del pianeta.
Interessante anche il nuovo intreccio fra treno e due ruote che si realizza ormai un po’ dovunque. In Giappone in qualsiasi giorno di lavoro davanti alle stazioni ferroviarie vengono parcheggiati quattro milioni di biciclette: qui l’utilizzo delle due ruote da parte dei pendolari ferroviari ha avuto un tale successo che alcune stazioni ferroviarie hanno investito in parcheggi multipiano verticali esclusivamente per biciclette esattamente come avviene per le auto.

Italia e Toscana
E in Italia? Nel Bel Paese aumentano i segnali incoraggianti circa l’uso delle due ruote: per esempio il bike sharing, ovvero bici pubblica, ovvero dividersi una bicicletta nel senso di comparteciparla. È uno degli strumenti di mobilità sostenibile a disposizione dei Comuni seriamente intenzionati a ridurre i problemi che derivano da un traffico automobilistico sempre più congestionato e dal conseguente inquinamento. In fondo, ad addomesticare il traffico possono contribuire una stazione di partenza, una di arrivo e una bicicletta da condividere: questa l’idea, semplice ma innovativa, per un mezzo di trasporto economico, relativamente veloce, non inquinante che sta conoscendo una larga popolarità in un numero crescente di città italiane, anche se in materia di mobilità ciclistica il nostro Paese ha accumulato ritardi assai pesanti rispetto al resto d’Europa.
Prima in Italia a inaugurare un servizio di bike sharing è stata Ravenna nel 2000 e oggi sono 121 nel nostro Paese le città grandi, medie e piccole che propongono questo nuovo modo di intendere e praticare la bicicletta, trasformandola da mezzo privato per eccellenza a mezzo pubblico da condividere. A dire la verità, le cifre sono ancora modeste: con le sue 1400 biciclette a disposizione per 13.000 abbonati è Milano a offrire il servizio di ‘bici condivisa’ più ampio e articolato. Roma, invece, ha 26 solo stazioni per appena 300 biciclette, mentre Brescia dispone a tutt’oggi di 24 postazioni per 260 mezzi, 300 ne utilizza Siracusa… Certo, siamo lontani dalle 20 mila biciclette messe a disposizione dei parigini nella capitale francese, ma diciamo che da noi la tendenza (almeno quella!) è decisamente incoraggiante.
Quale lo stato dell’opera in Toscana? Appena sopra la soglia della sufficienza e, come si diceva per gli studenti svogliati, la Toscana potrebbe fare di più se solo si applicasse. Ma prendiamo solo il buono e valorizziamolo. Per esempio, nell’isola d’Elba il prossimo anno i turisti che visiteranno Marina di Campo potranno fare a meno dell’auto perché per loro ci saranno non solo 7 chilometri di piste ciclabili, ma anche un servizio di bike sharing che collegherà il centro del Comune a tutte le frazioni e la possibilità di usufruire di biciclette elettriche con pedalata assistita. Un’esperienza che piace anche nella Toscana interna: a Pontedera, in via ancora sperimentale, sono state recentemente inaugurate 5 postazioni di bike sharing e si parla di un’utenza di studenti e pendolari in significativo sviluppo. E mentre questa pratica fa capolino a Grosseto, che con i suoi 23 chilometri già operativi e altri 25 in arrivo è oggi la prima città delle regione in materia di piste ciclabili, anche Massa si sta orientando verso una serie di interventi – ampliamento della ZTL; attuazione di una più ampia rete di piste ciclabili, servizio di bike sharing – mirati a una mobilità meno affannata, meno inquinata e più rispettosa dell’ambiente.
E poi, vuoi mettere?, pedalare è un piacere e, per di più, fa bene alla salute !


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