06 marzo 2013

"La vita che vorrei" di Nichi Vendola e Lidia Ravera



di Gianni Quilici

Nelle librerie che frequento non lo vedo esposto. Vedo molti libri inutili. I libri para-televisivi o libri sulla contingenza. Libri che possono durare un mese e poi morire. Non hanno più presente.
Non è così per “La vita che vorrei”, un lungo incontro tra un politico sui generis, Nichi Vendola, ed una scrittrice sui generis, Lidia Ravera.  Ed è un peccato che non abbia la diffusione necessaria, perché come recita il risvolto di copertina è davvero “un confronto sul vissuto, la politica, il paese che è stato e quello che dovrebbe essere”. C’è anche qui la contingenza, il presente, ciò che è già diventato passato, ma il nocciolo del libro va oltre.

In primo luogo non è solo o tanto un’intervista, come in genere succede, ma un confronto, un confronto di alto livello. Lidia Ravera è a volte l’intervistatrice, che chiede, ma soprattutto l’interlocutrice, che interagisce ampliando, suggerendo e rimandando ed anche la scrittrice che osserva… Osserva, con brevi note in corsivo, Nichi Vendola e il luogo, se stessa e la situazione.

In secondo luogo questo confronto porta ad approfondimenti su una miriade di questioni, che si offrono al lettore come suggestioni, come ipotesi da analizzare, da approfondire analiticamente. Insomma un centinaio di pagine da saccheggiare.
Per rendere più visivo questo possibile saccheggio trascrivo alcune voci che questo confronto suggerisce:
la lingua della politica, l’individualismo proprietario, le grandi narrazioni del passato, la grande e le piccole storie, la vecchiaia, il mito dell’eterna giovinezza, la vita come simulazione, il liberismo, la sinistra funerea, i giornalisti, il diritto al suicidio, il rispetto della vita umana, vivere nel presente e nutrirsi del passato, il mondo è due, la competizione e la cooperazione, la comunità e la rete, la fraternità, San Francesco d’Assisi e Giacomo Leopardi, i parchi, la Puglia, la storia di Clelia, il fidanzamento di Luca, i disabili e i normodotati, la modernizzazione e la modernità, la fame di futuro.

Come si intuisce, è un confronto che mescola analisi e racconto, politica ed esistenza e può essere letto come uno di quei romanzi, che non vuole soltanto comunicare, ma iniettare energie in movimento, indicare un percorso complesso, collettivo e aperto.
Molto viva e acuta l’introduzione di Lidia Ravera, che del libro è regista.

Alcune frasi da meditare:
  • Abbiamo perso confidenza con le grandi narrazioni. Abbiamo smesso di porci domande fondamentali
  • L’immortalità è un’aspirazione alta. Il mito tipicamente berlusconiano dell’eterna giovinezza, al contrario, è un mito nevrotico, ridicolo.
  • … soltanto partendo dalla nostra storia possiamo mettere in campo una visione del futuro.
  • Invece di parlare si ascolta la simulazione del parlare. I talk-show.
  • Abbiamo bisogno di raccontare ciò che è accaduto in un’epoca lunga. Non ieri e ieri l’altro. Almeno negli ultimi cent’anni.   
  • Il mondo è due, il mondo è maschile e femminile.
  • Stiamo correndo verso l’abisso. Stiamo devastando patrimoni.
  • Noi dobbiamo pensare ad una sinistra francescana (la profezia ecologica) e leopardiana.
  • Il titanismo di Leopardi è, nella sua capacità di ergersi, lui, solo e disperato, solo e malformato, solo e diverso, contro il caos della natura, di contrapporre al caos della natura la cultura, che è vincolo di civilizzazione.
  • Una vera rivoluzione culturale sarebbe la scoperta che siamo tutti disabili…
  • Liberté, egalité, fraternité. Ripartiamo da lì. E’ questa, forse, l’opportunità che la crisi ci offre.    

Nichi Vendola, Lidia Ravera. La vita che vorrei. Dino Audino Editore. Pag. 110. Euro 10,00.

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