di Luciano Luciani
Un dolore solitario e ineffabile
Continua
il serrato, e fecondo, corpo a corpo tra Luciano Fusi e i Grandi Visionari,
artisti e non solo, dell’Otto/Novecento. Così, dopo essersi confrontato con
Pier Paolo Pasolini, e Dino Campana, Arthur Rimbaud ed Ernesto Che Guevara,
senza dimenticare Leopardi e Van Gogh, il poeta toscano, privo di complessi
d’inferiorità ma anche senza arroganza, si cimenta con Carmelo Bene, drammaturgo
e attore, regista e poeta, oggetto di clamorose polemiche in vita fin dagli
esordi, e, una volta scomparso, universalmente ritenuto uno degli artisti più
eclettici e innovativi nella storia del teatro mondiale. Fusi, uomo di teatro a
sua volta, ne assume la discussa e controversa figura (chi non ricorda le
accuse rivolte all’artista salentino di essere solo un “affabulante
ingannatore” e un presuntuoso “massacratore di testi”?), rivisitandola, con
simpatia piena d’amore, alla luce della propria poetica.
E,
anche in questa occasione, si compie il miracolo di una sintonia mimetica, di
un’identificazione creativa, di una corrispondenza tanto piena quanto capace di
d’autonomia e d’invenzione. Merito, direi, soprattutto del particolarissimo e
originale lessico poetico di Fusi, quella cifra distintiva di un’esperienza
umana e artistica, a cui il poeta che viene dalla profonda provincia toscana,
ci ha abituato fin dal suo felice esordio con Rivolte di passione nel
1986. Densa, vischiosa, fino a risultare quasi materica la sua parola poetica,
che, con la violenza espressionista che gli è propria, è, quant’altre mai, in grado
di evocare le dure lotte sostenute da Bene contro il naturalismo teatrale e la
drammaturgia borghese, le sue feroci polemiche nei confronti di una visione
convenzionale del teatro, contro il testo “spazzatura” , contro gli attori “imbonitori”
e “intrattenitori”. A loro si contrappone la condizione del Genio e al loro
teatro l’”irripetibile teatro” di Carmelo Bene: per Fusi “l’unico vero esempio
di energia artistica tra la terra e l’immensità di una probabile condizione
divina”.
Scritto
per essere recitato in teatro, Dal gene al genio “Flusso d’incoscienza” per
CARMELO BENE, Polistampa. 2012, si avvale di una predilezione per
immagini cupe, in ombra da cui far nascere, improvvise, la lacerazione e la
rottura, lancinanti, l’urlo e il vuoto: “Io cerco il vuoto” scriveva Bene “che
è la fine di ogni arte, di ogni storia, di ogni mondo”. Una concezione
artistica ed esistenziale sul limite. Della comprensione e delle parole per
dirla.
Fusi,
poeta di razza, le ha cercate, queste parole, nelle profondità del suo cuore. Le
ha trovate, le ha scritte e ce le partecipa in questo piccolo libro che è un
grande, personalissimo omaggio al genio, a un Genio: alla sua solitudine, al
suo incommensurabile e ineffabile dolore.
Luciano Fusi, Dal Gene al Genio “Flusso d’incoscienza” per
Carmelo Bene, Edizioni Polistampa, Firenze, 2012, pp. Euro 5,00
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