di Gianni Quilici
E’ un manifesto di
20 pagine scritte da Simone Weil pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel
1943. Un manifesto per la soppressione dei partiti politici. Perché? Perché lo
scopo di un partito –sostiene Simone
Weil - non è il bene e il giusto, ma la propria crescita, senza alcun
limite. Il partito è una macchina per fabbricare una passione collettiva che
esercita una pressione condizionante in ognuno degli esseri umani che ne fanno
parte. Per questo ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni.
Questo argomenta
in sintesi Simone Weil.
Per capire la
forza e l’importanza di questo manifesto dobbiamo collocarlo negli anni ’40,
quando predominava nella sinistra, e in particolare nel PCF, lo stalinismo. Il
manifesto è quindi anche uno strumento coraggioso di lotta politica e
ideologica contro il clima regressivo
dominante.
L’ambizione di
Simone Weil va, però, oltre la contingenza politica. Vuole assurgere a verità
assoluta allora come oggi. Ed oggi per la crisi dei partiti potrebbe apparire
ancora più urgente e più credibile.
Pur non avendo
letture e esperienze per affrontare a fondo questa questione, vorrei porre
alcuni temi di riflessione.
La prima: se ogni
partito è in nuce totalitario, allo stesso modo anche qualsiasi gruppo o
movimento, che si pone, soprattutto, il problema di governare, ha in seme questa
possibile totalitarietà. Può esistere, quindi, una democrazia che ci comprenda
tutti, oppure più verosimilmente esiste una continua dialettica tra autoritarismo
e libertà?
La seconda riflessione: Jean Paul Sartre osserva che “il partito è in rapporto alla massa
una realtà necessaria, perché la massa in sé non possiede neppure una
spontaneità”. Però osserva Sartre che “appena il partito diventa istituzione, è
–salvo casi eccezionali- reazionario in rapporto a quello che esso sollecita o
crea gruppo in fusione”. E in questo che si
potrebbe chiamare anche movimento, Sartre individua diverse forme di coscienza di
classe molto diverse tra loro: da una parte una coscienza avanzata, dall’altra
una coscienza che quasi non esiste e fra di esse una serie di mediazioni. Il
partito di fronte a questo “diventa un bene, perché impedisce di cadere nella
serializzazione completa”. Tuttavia “rispetto a una massa in fusione il partito è sempre in ritardo, anche quando tenta
di dirigerlo, perché la impoverisce, cerca di subordinarla a sé, se addirittura
non la rifiuta, non la smentisce”... Perché esso “cresce come un insieme di
istituzioni, quindi come un sistema chiuso, appesantito, tendenzialmente
sclerotizzato”. (1)
Sartre pone quindi
questo dilemma: come superare la contraddizione inerente alla natura stessa del
partito, in modo che questo costituisca una mediazione attiva fra sé e gli elementi
serializzati e massificati dei movimenti?
Problema che si
pone anche Lucio Magri, che tuttavia
è perentorio nella necessità del partito.
“Puoi fare tutte le manifestazioni che vuoi sull’articolo 18, sulla pace, sui
diritti dei cittadini, su una giustizia giusta- dice Magri- “ma se queste
mobilitazioni non si sedimentano, se non vi è un progetto politico, se non vi è
un partito capace di raccogliere queste esperienze –come dimostra la storia di
questi anni- ogni patrimonio rischia di disperdersi”. (2)
Ma allora che tipo
di partito? Su questo interrogativo Lucio Magri offre molti spunti ancora oggi
validi, difficili da schematizzare, presenti in una pubblicazione oggi
introvabile “Classe, consigli, partito” (quaderno n. 2, realizzato dal
manifesto, alfani editore) .
Infine, una teoria del partito, per essere oggi all’altezza
dei tempi, deve non solo avere consapevolezza che si vive in una società
fortemente tecnologizzata e globalizzata, dove uomini, donne, bambine, bambini
rischiano di diventare sempre più un prolungamento delle macchine, frantumati
nel pensiero, nei sentimenti e nel tempo; ma anche che una risposta a questa
tendenza contraddittoria non può non avere un forte spessore culturale e
immaginativo, raccogliendo il meglio del pensiero sociologico e psicoanalitico.
Una scommessa comunque difficilissima per la sproporzione tra i mezzi del
capitalismo e quelli di chi si rivolta siano essi movimenti, partiti o stati.
1) Quando si
pensava in grande. Tracce di un secolo. Colloqui con venti testimoni del
Novecento di Rossana Rossanda (Einaudi, pagg. 241, euro 17,50)
2) Alla ricerca di
un altro comunismo di Lucio Magri. Il
saggiatore., pagg. 288, euro 18.50)
Simone Weil. Manifesto per la
soppressione dei partiti politici. Castelvecchi, collana Etcetera. pagine 60. € 6.
Nessun commento:
Posta un commento