01 novembre 2013

"La Chiesa e l’omosessualità: storia di un’intolleranza millenaria" di Luciano Luciani



Quella contro il vitium sodomiticum è la storia di un’intolleranza millenaria che affonda le sue radici nelle Sacre Scritture. 

Accanto ai celeberrimi episodi di Sodoma e Gomorra vanno aggiunti quelli dell’annientamento dei Gabaiti e Beniamiti a causa del loro orientamento sessuale.

 In assoluta coerenza con le indicazioni dell’Antico Testamento la Chiesa ha sempre riguardato con autentico orrore alla sodomia. Al Levitico biblico (Cum masculo non commiscearis coitu femineo quia abominatio est) si aggiunsero poi san Paolo e sant’Agostino (flagitia quae sunt contra naturam, ubique ac semper repudianda ad punienda sunt, quia Sodomitorum fecerunt… quod a tanta immunditia Angeli fugiunt ac demones etiam oculos claudunt)) che influenzeranno pesantemente il legislatore civile che non avrà particolari remore a comminare la pena di morte: in genere, il rogo, come nella legislazione ebraica, oppure la decapitazione. 

Le Novellae Constitutiones di Giustiniano definiscono l’omosessualità diabolica atque illicita luxuria… impia et nefaria actio, quae ne a brutis quidem animalibus invenitur commissa, sempre capace di suscitare la iusta Dei ira et vindicta e quindi estendeva alla sodomia l’identica pena della decapitazione con la spada prevista per l’adulterio. 

Mezzo millennio più tardi san Pier Damiani (1007 – 1072), teologo, latinista illustre, cardinale e Dottore della Chiesa cattolica nel suo Liber Gomorrhianus, scritto soprattutto per contrastare la diffusione dell’omosessualità tra il clero, porterà ulteriori, definitivi argomenti nella condanna del vitium contra naturam. Agli occhi del santo eremita la sodomia è velut cancer che porta con sé il disfacimento del corpo, la rovina dell’anima, l’abbrutimento della carne, l’annientamento della ragione, l’espulsione dello Spirito Santo e la comparsa del demonio tentatore. Tuona contro “l’abominevole peccato della maledetta sodomia” anche il santo francescano e predicatore insigne Bernardino da Siena (1380 – 1444), invocando sui sodomiti gli stessi castighi biblici: “O fuoco di Dio, come non discendi tu di cielo, a ciò che tu dibrugi tutti questi paesi!”.

L’Alto e il Basso Medioevo non offrono in materia altro che un susseguirsi di orrori teologici e mostruosità giuridiche con tutto il loro carico di tragiche conseguenze: il diritto ecclesiastico e quello civile fanno a gara nel precisare, con una cura maniacale del dettaglio, gli ambiti della trasgressione del crimen sodomiae per reprimere, controllare e punire un peccato individuato come foriero di molte e gravi disgrazie, la guerra e la peste, la carestia e i disordini civili. Non fa, dunque, meraviglia constatare come gli statuti dei principali Comuni italiani - Milano, Roma, Firenze, Ferrara, Trieste, Belluno senza escludere comunità più piccole – trattino la sodomia come oggetto di solenni condanne e punizioni esemplari.

Un breve florilegio di mostruosità legali, tutte figlie dei “luminosi” anni rinascimentali, basti e avanzi al Lettore: a Milano, Pavia e Vigevano la legislazione comunale prevede il rogo per i sodomiti; a Reggio Emilia è contemplata l’impiccagione, il rogo del corpo e una multa; sempre in Emilia, a Scandiano, i colpevoli siano bruciati, ma se minori di quattordici anni soltanto duramente frustati in pubblico. A Urbino i sodomiti maggiori dei vent’anni siano bruciati, se minori di vent’anni condannati a una multa e, se insolventi, fustigati pubblicamente. Più mite il legislatore in quel di Firenze, che, per una prima trasgressione, prende in considerazione pesanti multi e pene corporali, in caso di recidiva condanna a morte o a remare a vita nelle galee granducali. A Roma, va senza dire, il sodomita, se riconosciuto colpevole, sale sul rogo.

Con tali fondamenti del diritto si infittiscono durante il XVI secolo le condanne: roghi di omosessuali vengono innalzati nelle principali città italiane – Genova, Bologna, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Palermo… - e anche nei centri minori. Una cupa, accanita, follia persecutoria a cui non fanno da schermo né l’età e neppure l’appartenenza sociale, tetro prodromo all’incombente demonopatia, la caccia alle streghe, che di lì a pochi decenni non risparmierà nessun angolo dell’Europa cattolica o protestante. Tra le vittime illustri, un mite e dotto umanista, Jacopo Bonfadio (1508 – 1550), docente di filosofia all’università di Genova: mal visto dalle potenti famiglie genovesi degli Spinola e dei Fieschi per i giudizi contenuti nella sua opera più importante, gli Annales Geneundis, fu accusato di aver intrattenuto rapporti omosessuali con un suo studente. Condannato, fu decapitato e il suo corpo arso. Durissima, dunque, nei modi e nei numeri, la repressione dei comportamento omosessuali. 

I risultati? Modesti. Se al tempo di Dante, la stimmate sodomitica è percepita come propria di categorie di individui socialmente o intellettualmente elevate, soprattutto “cherci/ e litterati grandi e di gran fama,/ d’un peccato medesmo al mondo lerci./” (Dante, Inferno, XV, 106-108), due secoli più tardi l’attenzione a essa riservata dagli Ordinamenti comunali ne indica l’ampia diffusione tenuta d’occhio con sempre maggiore preoccupazione dalle autorità laiche e religiose.

A scorrere l’elenco delle condanne capitali per sodomia eseguite nel corso del XVI secolo, non si può fare a meno di costatare come tutte le aree della società siano coinvolte in tali consuetudini sessuali: non solo preti e letterati, ma anche garzoni e figli di famiglie abbienti, staffieri e vinattieri, tessitori e soldati. E, nonostante le condotte omoerotiche siano ovviamente diffuse in tutta la penisola, è a Firenze che, secondo il senso comune, sembrano trovare la loro terra d’elezione: non è un caso che in Germania, in età rinascimentale, fiorentino sia sinonimo di sodomita e florenzen, ovvero “fiorentineggiare”, corrisponda a un più che esplicito “fare l’amore alla fiorentina”. Una fama che la città toscana poteva, comunque, tranquillamente spartire con Roma, Milano, Bologna, Genova, Venezia, Palermo…

In questo scenario, un ruolo decisivo, ad maius peccatum evitandum, è attribuito alla prostituzione e alle sue protagoniste, le puellae lupanaris, soprattutto se concentrate nel bordello, regolato e controllato. Agli occhi delle autorità del tempo la frequentazione delle prostitute rappresenta la migliore misura di contenimento delle violenze sessuali diffuse e una valvola di sfogo , socialmente accettata o almeno tollerata, per un sempre maggior numero di giovani maschi costretti a rimandare sine die, e a volte per tutta la vita, il matrimonio a causa di condizioni economiche inadeguate.

Contrastata e repressa l’omosessualità, orientata e finalizzata l’eterosessualità, nel corso di almeno due secoli, le classi dominanti del nostro Paese, impegnate nel faticoso e contrastato processo di accentramento del potere nelle mani di un unico principe, si posero l’ obbiettivo di governare non solo la sfera politico religiosa dei propri dominati, ma anche quella della disciplina della sessualità, consapevoli che “chi controlla l’erotismo dei sudditi possiede le chiavi della sopravvivenza del corpo sociale (Saba Sardi).






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