Quella contro il vitium
sodomiticum è la storia di un’intolleranza millenaria che affonda le sue
radici nelle Sacre Scritture.
Accanto ai celeberrimi episodi di Sodoma e
Gomorra vanno aggiunti quelli dell’annientamento dei Gabaiti e Beniamiti a
causa del loro orientamento sessuale.
In assoluta coerenza con le indicazioni
dell’Antico Testamento la Chiesa ha sempre riguardato
con autentico orrore alla sodomia. Al Levitico
biblico (Cum masculo non commiscearis
coitu femineo quia abominatio est)
si aggiunsero poi san Paolo e sant’Agostino (flagitia quae sunt contra
naturam, ubique ac semper repudianda ad punienda sunt, quia Sodomitorum fecerunt… quod a tanta immunditia Angeli
fugiunt ac demones etiam oculos claudunt))
che influenzeranno pesantemente il legislatore civile che non avrà particolari
remore a comminare la pena di morte: in genere, il rogo, come nella
legislazione ebraica, oppure la decapitazione.
Le Novellae Constitutiones
di Giustiniano definiscono l’omosessualità diabolica
atque illicita luxuria… impia et nefaria actio, quae ne a brutis quidem
animalibus invenitur commissa, sempre capace di suscitare la iusta Dei ira et vindicta e quindi
estendeva alla sodomia l’identica pena della decapitazione con la spada
prevista per l’adulterio.
Mezzo millennio più tardi san Pier Damiani (1007 –
1072), teologo, latinista illustre, cardinale e Dottore della Chiesa cattolica
nel suo Liber Gomorrhianus, scritto
soprattutto per contrastare la diffusione dell’omosessualità tra il clero,
porterà ulteriori, definitivi argomenti nella condanna del vitium contra naturam. Agli occhi del santo eremita la sodomia è velut cancer che porta con sé il
disfacimento del corpo, la rovina dell’anima, l’abbrutimento della carne,
l’annientamento della ragione, l’espulsione dello Spirito Santo e la comparsa
del demonio tentatore. Tuona contro “l’abominevole peccato della maledetta
sodomia” anche il santo francescano e predicatore insigne Bernardino da Siena
(1380 – 1444), invocando sui sodomiti gli stessi castighi biblici: “O fuoco di
Dio, come non discendi tu di cielo, a ciò che tu dibrugi tutti questi paesi!”.
L’Alto e il Basso Medioevo non offrono in materia
altro che un susseguirsi di orrori teologici e mostruosità giuridiche con tutto
il loro carico di tragiche conseguenze: il diritto ecclesiastico e quello
civile fanno a gara nel precisare, con una cura maniacale del dettaglio, gli
ambiti della trasgressione del crimen
sodomiae per reprimere, controllare e punire un peccato individuato come
foriero di molte e gravi disgrazie, la guerra e la peste, la carestia e i
disordini civili. Non fa, dunque, meraviglia constatare come gli statuti dei
principali Comuni italiani - Milano, Roma, Firenze, Ferrara, Trieste, Belluno senza
escludere comunità più piccole – trattino la sodomia come oggetto di solenni
condanne e punizioni esemplari.
Un breve florilegio di mostruosità legali, tutte
figlie dei “luminosi” anni rinascimentali, basti e avanzi al Lettore: a Milano,
Pavia e Vigevano la legislazione comunale prevede il rogo per i sodomiti; a
Reggio Emilia è contemplata l’impiccagione, il rogo del corpo e una multa;
sempre in Emilia, a Scandiano, i colpevoli siano bruciati, ma se minori di
quattordici anni soltanto duramente frustati in pubblico. A Urbino i sodomiti
maggiori dei vent’anni siano bruciati, se minori di vent’anni condannati a una
multa e, se insolventi, fustigati pubblicamente. Più mite il legislatore in
quel di Firenze, che, per una prima trasgressione, prende in considerazione
pesanti multi e pene corporali, in caso di recidiva condanna a morte o a remare
a vita nelle galee granducali. A Roma, va senza dire, il sodomita, se
riconosciuto colpevole, sale sul rogo.
Con tali fondamenti del diritto si infittiscono
durante il XVI secolo le condanne: roghi di omosessuali vengono innalzati nelle
principali città italiane – Genova, Bologna, Milano, Venezia, Firenze, Roma,
Palermo… - e anche nei centri minori. Una cupa, accanita, follia persecutoria a
cui non fanno da schermo né l’età e neppure l’appartenenza sociale, tetro
prodromo all’incombente demonopatia, la caccia alle streghe, che di lì a pochi
decenni non risparmierà nessun angolo dell’Europa cattolica o protestante. Tra
le vittime illustri, un mite e dotto umanista, Jacopo Bonfadio (1508 – 1550),
docente di filosofia all’università di Genova: mal visto dalle potenti famiglie
genovesi degli Spinola e dei Fieschi per i giudizi contenuti nella sua opera
più importante, gli Annales Geneundis,
fu accusato di aver intrattenuto rapporti omosessuali con un suo studente.
Condannato, fu decapitato e il suo corpo arso. Durissima, dunque, nei modi e
nei numeri, la repressione dei comportamento omosessuali.
I risultati? Modesti.
Se al tempo di Dante, la stimmate sodomitica è percepita come propria di
categorie di individui socialmente o intellettualmente elevate, soprattutto
“cherci/ e litterati grandi e di gran fama,/ d’un peccato medesmo al mondo
lerci./” (Dante, Inferno, XV,
106-108), due secoli più tardi l’attenzione a essa riservata dagli Ordinamenti
comunali ne indica l’ampia diffusione tenuta d’occhio con sempre maggiore
preoccupazione dalle autorità laiche e religiose.
A scorrere l’elenco delle condanne capitali per
sodomia eseguite nel corso del XVI secolo, non si può fare a meno di costatare
come tutte le aree della società siano coinvolte in tali consuetudini sessuali:
non solo preti e letterati, ma anche garzoni e figli di famiglie abbienti,
staffieri e vinattieri, tessitori e soldati. E, nonostante le condotte
omoerotiche siano ovviamente diffuse in tutta la penisola, è a Firenze che,
secondo il senso comune, sembrano trovare la loro terra d’elezione: non è un
caso che in Germania, in età rinascimentale, fiorentino sia sinonimo di
sodomita e florenzen, ovvero
“fiorentineggiare”, corrisponda a un più che esplicito “fare l’amore alla
fiorentina”. Una fama che la città toscana poteva, comunque, tranquillamente
spartire con Roma, Milano, Bologna, Genova, Venezia, Palermo…
In questo scenario, un ruolo decisivo, ad maius peccatum evitandum, è attribuito alla prostituzione e alle
sue protagoniste, le puellae lupanaris,
soprattutto se concentrate nel bordello, regolato e controllato. Agli occhi
delle autorità del tempo la frequentazione delle prostitute rappresenta la
migliore misura di contenimento delle violenze sessuali diffuse e una valvola
di sfogo , socialmente accettata o almeno tollerata, per un sempre maggior
numero di giovani maschi costretti a rimandare sine die, e a volte per tutta la vita, il matrimonio a causa di
condizioni economiche inadeguate.
Contrastata e repressa l’omosessualità, orientata e
finalizzata l’eterosessualità, nel corso di almeno due secoli, le classi
dominanti del nostro Paese, impegnate nel faticoso e contrastato processo di
accentramento del potere nelle mani di un unico principe, si posero l’
obbiettivo di governare non solo la sfera politico religiosa dei propri
dominati, ma anche quella della disciplina della sessualità, consapevoli che
“chi controlla l’erotismo dei sudditi possiede le chiavi della sopravvivenza
del corpo sociale (Saba Sardi).
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