Bella, ricca, infelice
Oltre alla veneziana Veronica Franco e a Tullia
d’Aragona che esercitò i suoi talenti a Roma, Venezia, Siena e Firenze tra le
famose cortigiane rinascimentali va ricordata anche la romana doc Imperia.
Bella, ammirata, desiderata, era dotata di straordinario fascino e del potere
che le derivava dagli uomini a cui si accompagnava: uno per tutti il senese
Agostino Chigi (1465 – 1520), detto, pure lui!, il Magnifico, banchiere di
papi, costruttore della Farnesina, munifico mecenate di letterati e artisti.
Imperia segna della sua personalità la fase ascendente del Rinascimento romano.
Nata nel rione di Borgo il 3 agosto 1486 da una cortigiana di modesto profilo,
Diana Corgnati, e da Paris de Grassis, cerimoniere pontificio, molti ne
cantarono la straordinaria bellezza: “bianca e spaziosa la fronte, incoronata
da capelli color dell’oro, sottile il collo e ampi e deliziosi i seni”. Modella
- e quasi per certo amante - di Raffaello Sanzio, che probabilmente la
raffigurò nelle fattezze di Galatea nell’affresco che si trova alla Farnesina, conversatrice
brillante e autrice di versi non disprezzabili, “si dilettava de le rime
volgari” e “non insoavemente componeva qualche sonetto o madrigale”. Un’abilità
appresa alla scuola dello Strascino, ovvero il letterato originario di Siena
Domenico Campani, autore di rime giocose, di gran moda nella Roma dei primi
anni del Cinquecento, poeta mediocre, ma capace di impartire alla giovane
arrampicatrice sociale una raffinata educazione umanistica.
Cortigiana tra le
più celebrate si poteva permettere di abitare in una residenza simile a una
reggia nei pressi della locanda dell’Orso, in uno dei quartieri più ricchi
della città. ”Era una casa apparata et in modo del tutto provvista, che
qualunque straniero in quella v’entrava, veduto l’apparato e l’ordine de
servidori, credeva ch’ivi una principessa abitasse. Era tra l’altre cose una
sala et una camera et un camerino sì pomposamente adornati, che altro non v’era
che velluti e broccati, e per terra finissimi tappeti… in sur una ricca sedia
vi era una bella e vaga giovinetta di età di anni diciotto, quale era vestita
di ricchissime veste, con un numero infinito di pontali d’oro e gruppi di
perle… E perché tutte le cortigiane di Roma, specialmente quelle che sono di
qualche valore, sogliono stare in casa per lo manco con due fanti… quelle fanti
tutte preste apparecchiorno nella ampia sala una ricca tavola con molte
preziose vivande e finissimi vini”: così descrive la sua dimora Matteo Bandello
che l’amò, come pure il vescovo Iacopo Sadoleto, il bibliotecario del papa e
organizzatore di eventi teatrali Tommaso Inghirami, il poeta licenzioso
Bernardino Cappella, Camillo Porcari, Antonio Lelli, il letterato umanista
Angelo Colocci, Filippo Beroaldo junior che animarono il sofisticato circolo
artistico – letterario che si ritrovava nella sua suntuosa magione.
Imperia, però, non era felice. Innamorata, infatti, di
un nobile romano, Angelo Del Bufalo, non poteva sposarlo perché l’uomo era già
legittimamente coniugato e nella Roma papale si poteva senza scandalo
condividere il letto con un cardinale, ma non era permesso divorziare per non
infrangere il sacro vincolo del matrimonio. E allora, dopo l’ennesimo litigio
con l’amante, decise di uccidersi, assumendo un veleno mortale: a nulla valsero
le cure dei medici più famosi di Roma fatti giungere al suo letto dall’antico
protettore, Agostino Chigi. Dopo due giorni di una dolorosa agonia, Imperia
morì: una vicenda tragica che colpì l’immaginario popolare al punto che i
cantastorie la celebrarono a lungo per le strade di Roma intonando una
tarantella intitolata Il lamento di Imperia mandato dall’inferno in questo mondo
attribuita a Giuliano Ceci. Pietoso della sua vicenda fu addirittura il
terribile Aretino che di lei scrisse che “morì bene, ricca, e in casa sua e
onorata.”
Così il poeta Giano Vitale la piange nell’ Imperiae panegyricus:
Si elargirono a Roma due gran doni
Marte le die’l’impero, Venere Imperia.
Morte e Fortuna ostaron, e portò via
Fortuna impero,
Imperia Morte
Pianser l’impero i padri,
noi, noi questa piangemmo.
Quelli l’impero, noi, noi
abbiamo perso il cuore.
Sepolta in una bellissima tomba rinascimentale nella
chiesa di San Gregorio al Celio, voluta da Agostino Chigi, di lei restò, per
oltre un secolo, solo il ricordo di un’elegante iscrizione latina che tradotta
suonava così: “Imperia, cortigiana romana che, degna di così gran nome, offrì
un esempio di bellezza raro per il genere umano. Visse ventisei anni e dodici
giorni e morì nell’anno 1512, il 15 agosto”. Un congedo dal mondo che non pecca
certo d’ipocrisia come, invece, quello di un’altra ‘cortigiana onesta’,
Beatrice Pareggi, inumata sempre nella chiesa di Sant’Agostino: “Fu madre
esemplare, rapita nel fiore della sua santa gioventù”.
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