Ultimo lavoro fotografico
di Enzo Cei “Trapianti” al LUCCAphotoDIGITALfest, in corso a Palazzo Guinigi
fino all'8 dicembre 2008.
Enzo Cei, nato a Pisa, ma
residente a Lucca da molti anni, è un fotografo che può stare a fianco dei più
grandi fotografi oggi in Italia e forse nel mondo, anche se non ha, ne'
ricerca, quel “successo commerciale” o quella “visibilità”, che altri, a volte
inferiori, cercano e hanno.
Enzo Cei, infatti, non fa
il “fotoreporter itinerante”, in cerca di storie crude; è fotoreporter, invece,
estremamente radicato. I suoi temi, almeno finora, non sono quelli epocali
della guerra o della fame o per un altro verso della moda e degli “eventi”, ma,
come egli stesso ha scritto, è “l'ordinario come evento dentro storie
radicate”. Leggendo i suoi libri troviamo come protagonisti, infatti, i
cavatori di marmo, i degenti dell'ex OP di Maggiano, i costruttori del carnevale di Viareggio, i
lavoratori della carta ecc. Libri che richiedono, per il modo scrupoloso con
cui vive la sua professione, anni di
tempo. Dai “ Cavatori”, che hanno richiesto 6 anni, fino a “Trapianti”, oltre
3, perché ciò che interessa a Cei è tutto il percorso di un “fatto”, non
soltanto il risultato finale.
“Trapianti” è una mostra
facile e difficile. Facile, perché ha un messaggio diretto, immediatamente
coinvolgente; difficile, perché sono tanti i segni che la percorrono, diversi i
possibili livelli di analisi.
Il primo più elementare
livello è il racconto-documento, che ci consente di comprendere le varie fasi
in cui si sviluppa un trapianto: l'attesa, il prelievo degli organi e il
trasporto, la preparazione e l'intervento, il decorso post-operatorio, il
ritorno alla vita. Nella mostra poco più di 30 fotografie sintetizzano le varie
fasi. Ogni foto ha una didascalia, che argomenta ciò che spesso si (intra)vede.
Alla fine si capisce la complessità di un trapianto come risorse umane e
professionali, come dolore e gioia.
Il secondo e più
approfondito livello è la foto o meglio la complessità che questa presenta.
E' sempre difficile
generalizzare su un insieme di immagini, perché ogni foto ha spesso una sua
specificità, una sua unicità. Tuttavia
si possono raccogliere alcuni elementi di tipo linguistico.
1) L'essenzialità della
foto. Cioè la concentrazione solo sugli elementi indispensabili per cogliere il
senso, evitando la dispersione della concentrazione e lasciando
all'immaginazione il fuori campo, la
possibilità di prefigurarlo.
2) La consequenzialità
narrativa delle foto. Abbiamo per esempio nella serie di foto che documentano
l'intervento una serie di piani, tra loro diversi: il primissimo piano
dell'incisione; il campo medio
dell'intervento, che riprende sia il
volto del trapiantato che l'équipe di
chirurghi all'opera; il campo totale su diversi nuclei di medici-infermieri
insieme e separati, ognuno con il suo compito specifico; infine primi piani
(intensi) di chirurghi, di anestesisti, di infermieri durante l'intervento.
3) I contrasti del bianco
e nero. Qui i contrasti anche netti sono importanti, non solo perché consentono
di evidenziare aspetti facendoli risaltare visivamente, ma perché in molte di queste
“situazioni” il contrasto è intrinseco ai fatti. Un esempio. C'è la bellissima foto dell'attesa.
Scrive Enzo Cei, raccontando il retroscena della foto:
“Luigi non voleva
accettare un rene dalla moglie, ma Irene è stata tenace, almeno quanto il suo corpo,
in quella fila di esami tesi ad accertare l’idoneità a donare. Con Irene e
Luigi ho condiviso un po’ della loro attesa. S’era nel periodo natalizio e
loro, in compagnia della figlia Donatella e del cane, aspettavano la chiamata
per fare il trapianto. Ogni squillo di telefono un sobbalzo. Ma le ore non
passano mai e le telefonate sono tante. Seduto alla tavola, con la testa
appoggiata, Luigi guarda fuori, verso la finestra; in un attimo lo vedo
riflesso nel vetro della tv spenta, e sento che quello scatto, con la sua fetta
di albero di natale, potrebbe essere quello buono, quello che stampato coi toni
giusti e il contrasto vivace, possa restituire quanto ho respirato tra quei
muri”.
In questa foto due aspetti
(mi) colpiscono:
* la distanza sia fisica (campo
lungo su Luigi piccolo nella foto), che psicologica (Luigi è il riflesso della
TV) ed è però la distanza, forse invalicabile, tra chi sta vivendo un'attesa
terribile e chi sta assistendo a questa attesa, anche se partecipe;
* la simbologia che la figura
di Luigi assume in un triplice contrasto, che la fotografia contiene:
l'atmosfera che si vorrebbe familiare e calda dell'albero natalizio; lo sfondo
buio della stanza, che è predominante; ed il pertugio bianco della finestra,
che è lo sguardo di Luigi su un orizzonte che esiste, ma non si vede. Ecco che
la silhouette piccola e anonima di Luigi, scolpita nella cornice della
finestra, assume una dimensione “simbolica” quasi “assoluta” di un'attesa in
cui sono in gioco i due elementi decisivi per chiunque: la vita e la morte.
In questa foto c'è,
quindi, il terzo livello: la poesia. Queste foto “toccano”, come direbbe Roland
Barthes, non solo quelle più immediatamente
emotive, ma pure le immagini apparentemente documentative. Prendiamo la
foto che fa da copertina alla
mostra e al libro (in corso di
pubblicazione). Come documentazione è una fotografia eccezionale. E' (forse) la
prima fotografia nel Pianeta, che rappresenta un cuore ancora pulsante.
C'è, però, un di più: le
mani che offrono. Il dono. Il biancore dei guanti e nello sfondo assolutamente
buio si scolpisce un miracolo: un cuore.
Infine, come ultimo
aspetto, la parola come poesia nel suo intreccio con la foto.
Enzo Cei, oltre alla
didascalia, ha aggiunto ad ogni foto una frase lapidaria, che colga in modo
mediato-immediato l'attimo. Queste frasi hanno l'ambizione del verso e
raggiungono talvolta la poesia. Ne ho trascritte qualcuna di queste
frasi-versi, anche se andrebbero lette insieme alle foto, a cui si riferiscono:
“Col fiato sospeso in punta
di vento”, “Archi di ciglia puntate al bersaglio”, “E loro e l'albero e il
mondo”.
da "Lo schermo" 30 novembre 2008
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