10 gennaio 2010

"Fossili di romanzo poliziesco" di Luciano Luciani



1 Bibbia e non solo

“Caino disse al fratello Abele: ’Andiamo in campagna!’. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?’ Egli rispose: ‘Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?’ Riprese: ‘Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra ”

Il gusto per il mistero e il piacere intellettuale dell’indagine per risolverlo sono da sempre parte dell’immaginario e, quindi, della vita dell’uomo. Lo dimostra l’episodio appena citato: alcuni hanno voluto individuare le origini del romanzo poliziesco addirittura nella Bibbia, il Libro per eccellenza. E non è l’unico esempio: c’è un altro passaggio nella Bibbia in cui la narrazione assume, in maniera ancora più marcata, le movenze dell’indagine che saranno poi proprie del romanzo poliziesco. Eccolo: “Il re si recò insieme a Daniele nel tempio di Bel e i sacerdoti di Bel gli dissero: ‘ Ecco, noi usciamo di qui e tu, re, disponi le vivande e mesci il vino temperato; poi chiudi la porta e sigillala con il tuo anello. Se domani mattina, venendo, tu riscontrerai che tutto non è stato mangiato da Bel, moriremo noi, altrimenti morirà Daniele che ci ha calunniati’. Essi però non se ne preoccuparono perché avevano praticato un passaggio segreto sotto la tavola per il quale passavano abitualmente e consumavano tutto.
Dopo che essi se ne furono andati, il re fece porre i cibi davanti a Bel: Daniele ordinò ai servi del re di portare un po’ di cenere e la sparsero su tutto il pavimento alla presenza soltanto del re; poi uscirono, chiusero la porta, la sigillarono con l’anello del re e se ne andarono. I sacerdoti vennero di notte, secondo il loro consueto, con le mogli, i figli e mangiarono e bevvero tutto. Di buon mattino il re si alzò, come anche Daniele. Il re domandò: “Sono intatti i sigilli, Daniele?’ ‘Intatti, re’ rispose. Aperta la porta, il re guardò la tavola ed esclamò: “Tu sei grande, Bel, e nessun inganno è in te!” Daniele sorrise e, trattenendo il re perché non entrasse, disse: ‘Guarda il pavimento ed esamina di chi sono quelle orme’ Il re disse: ‘Vedo orme d’uomini, di donne e di ragazzi!’ Acceso d’ira, fece arrestare i sacerdoti con le mogli e i figli; gli furono mostrate le porte segrete per le quali entravano a consumare quanto si trovava sulla tavola. Quindi il re li fece mettere a morte, consegnò Bel in potere di Daniele che lo distrusse insieme con il tempio.”

Altri ravvisano nell’Edipo re di Sofocle gli elementi fondamentali del romanzo poliziesco, delitto, indagine, colpo di scena finale quando Edipo scopre di essere egli stesso l’assassino. Per non parlare dell’Amleto di Shakespeare: inscenando il suo delitto e ricostruendone i meccanismi, il pallido principe di Danimarca, pur privo di prove materiali, riesce a sollecitare la confessione dello zio Claudio.

Nel 1748 lo Zadig di Voltaire sa interpretare gli indizi come e meglio di Sherlock Holmes descrivendo in maniera completa e dettagliata la cagnetta del re senza averla mai vista.

Altri aficionados del genere, alla continua ricerca di patenti di legittimità, si rifanno ora ai racconti persiani, ora alle antiche cronache cinesi, oppure non hanno scrupoli a recuperare alcuni racconti delle Mille e una notte.

Anche se il delitto e il mistero che lo circonda, l’investigazione e il suo protagonista, l’investigatore, lo smascheramento del colpevole sono presenti in esperienze letterarie che risalgono fino alla notte dei tempi tutto questo non è però sufficiente per trasformare un’opera di narrativa in un romanzo poliziesco. Manca, come ha notato acutamente e spiritosamente il critico inglese George Bates, la polizia, pubblica o privata che sia: “come si potrebbe, allora, scrivere qualcosa di poliziesco prima ancora che il poliziotto esista?”.

2 Le origini sociali e letterarie del poliziesco

Senza dubbio alla creazione del poliziesco hanno contribuito i formidabili mutamenti sociali e culturali in atto durante tutto il corso del XIX secolo. L’organizzazione del lavoro in fabbrica si trasforma razionalizzandosi e parcellizzandosi: l’uomo è sempre più dipendente dalle macchine e le antiche abilità artigianali entrano in crisi. L’operaio non svolge più un lavoro affidato alla propria abilità individuale ma si trasforma in un addetto alla manutenzione della macchina, si costituisce un’aristocrazia operaia, mentre la maggior parte del lavoro viene svolta da operai comuni che eseguono solo compiti elementari, monotoni, ripetitivi al servizio della macchina e sono perciò facilmente rimpiazzabili. Importanti innovazioni tecnologiche contribuiscono a porre le basi per una forte ripresa dello sviluppo economico: il treno, il telegrafo senza fili, la fotografia e poco più tardi il telefono, il cinematografo, l’automobile, la macchina per scrivere cambiano nel profondo i modi di vivere lo spazio e il tempo e gli stili di vita. Se il capitalismo imperialista tende ad unificare sotto il proprio controllo tutti i continenti e la vita umana si mondializza, la fotografia e poi il cinema consentono di vedere come realmente sono uomini, paesaggi e paesi mai visti e visitati direttamente. Declinano le macchine a vapore, progressivamente sostituite da quelle elettriche. Le luci, prima a gas e poi elettriche, illuminano le città. La natura tende a diventare artificiale, a trasformarsi in una “seconda natura”, questa creata esclusivamente dall’uomo. L’intero campo dell’esperienza umana risulta radicalmente sconvolta.

Ne risentono le arti, la letteratura, la poesia. L’orizzonte dei letterati non è più quello della tradizione: il loro orizzonte è ora quello degli asfalti grigi, delle strade scintillanti di luci artificiali e di merci, della folla anonima. L’intellettuale è cosciente delle trasformazioni intervenute e si aggira estraneo e spaesato nella sua stessa città.

3 La paura delle folle proletarie

Forte l’incremento della popolazione delle periferie urbane che vive in condizioni misere e nell’assenza dei più elementari ammortizzatori sociali. Nei quartieri proletari delle città industriali si addensano masse di ex contadini rimasti senza terra: la loro condizione è fatta di infinita sporcizia, laidezza, malattie, fame sfruttamento, soprattutto delle donne e dei bambini. Ne consegue un preoccupante aumento della criminalità e una sua sempre più assillante e angosciata percezione di questo fenomeno presso l’opinione pubblica. Cresce il numero degli alfabetizzati e dei lettori e si allarga l’interesse della stampa popolare per la cronaca nera: negli anni a metà del secolo si moltiplicano le grandi inchieste sociali sulla delinquenza, sulla prostituzione e i dibattiti sui diversi sistemi repressivi e penitenziari.

Un esempio è rappresentato in Francia dalla importante opera di Frègier, Sulle classi pericolose della popolazione nelle grandi città, apparsa nel 1840. Va anche ricordato che sempre in Francia non erano pochi gli scrittori di romanzi d’appendice che, a partire dal 1825, traevano più di un motivo d’ispirazione dalla “Gazette des tribunaux”. Dalla paura per le masse proletarie si sviluppa la tendenza a studiarne la psicologia e i comportamenti.

E se all’inizio esse sono viste come tendenzialmente portate a delinquere (La folla delinquente del 1891 è il titolo significativo di un importante studio sull’argomento dell’italiano Scipio Sighele), successivamente il medico francese Gustave Le Bon corregge questa considerazione pessimistica e nel suo Psicologia delle folle del 1895 giunge ad una posizione più equilibrata individuando nella massa una moralità collettiva disposta sia ai peggiori delitti, sia ai più grandi atti di eroismo e di sacrificio.

Decisivo poi il largo sviluppo di un esteso spirito razionalista e scientista proprio dell’età del positivismo, quell’indirizzo filosofico che, nato in Francia nella prima metà del XIX secolo, si sviluppò nella seconda in tutti i paesi europei a partire dall’Inghilterra. Lo storico Carlo Ginzburg in un suo importante saggio, Miti emblemi spie. Morfologia e storia illustra il paradigma della “spia” ovvero dell’indizio, che viene elaborato in questo clima culturale in discipline diverse: nella storia dell’arte con Giovanni Morelli, nella psicanalisi con Sigmund Freud e nel romanzo poliziesco con Arthur Conan Doyle. In tutti questi ambiti si attivano procedure di identificazione e conoscenza a partire da dettagli apparentemente secondari, da piccoli eventi marginali.

Non bisogna poi trascurare il fatto che nella sua fase aurorale il romanzo poliziesco, ancora privo di autonomia, ancora non consapevole della propria esistenza e dei propri statuti, si alimenta anche di altre suggestioni letterarie, attinge ad altri generi: per esempio, la bibliothèque bleue (collana di libri economici in cui erano pubblicati romanzi d’avventura, romanzi cavallereschi o storie di briganti); il romanzo gotico inglese; le cronache giudiziarie inglese e francesi; le biografie romanzate di banditi e briganti; le memorie di funzionari di polizia. Un pentolone ribollente da cui, circa a metà del XIX secolo, emergeranno con più nettezza e coscienza di sé le strutture portanti di un genere letterario che doveva segnare un secolo e mezzo di storia letteraria a venire.