17 gennaio 2010
“I miei demoni” di Edgar Morin
di Gianni Quilici
E' un'autobiografia, senza poterlo essere fino in fondo per ragioni di privacy. E' una storia in divenire di pensiero e di azione punteggiata da diverse tappe: ognuna di queste individua limiti, approfondisce, muta idee e percorsi.
E' un laboratorio intellettuale e culturale, incredibilmente colto e incredibilmente umile, che sceglie la contraddizione come metodo di pensiero, la complessità come filosofia, la Terra-Patria come orizzonte.
Va letto e pensato. Impossibile sintetizzarlo. Possibile soltanto lasciare qualche suggestione.
La contraddizione come lettura del mondo e di se stessi in un incessante divenire: empirico e teorico, concreto e astratto, singolare e universale, fenomeno e contesto, religione e ragione, vita e morte, unione e divisione, concordia e discordia, realtà e irrealtà, biologia e cultura, cerebrale e psichico, razionale e irrazionale, orrore e stupore, morale e amorale...
La complessità, un pensiero, cioè, che mette in relazione ciò che, muovendo da origini diverse e molteplici, forma un tessuto unico e inscindibile. Morin pone in connessione le due culture principali, quella umanistica con quella scientifica, integrando tra loro quattro apporti principali:
la tradizione filosofica, che, nata in Occidente con Eraclito, prosegue con Nicola Cusano, Pascal, Hegel, Marx e arriva ad Adorno e Jung, sino a trovare un proprio prolungamento scientifico in Bohr, Godel, Lupasco; l'apporto delle tre teorie (dell'informazione, cibernetica, dei sistemi), nonché delle teorie dell'auto-organizzazione e dell'auto-produzione; la riflessione filosofica sulla natura della scienza: da Husserl ad Heidegger; la riflessione sulla prima rivoluzione scientifica del XX secolo nata con l'irruzione dell'incerto e quella sulla seconda rivoluzione scientifica in corso: dall'ecologia scientifica alle scienze della terra, alle cosmologie. Con la consapevolezza che la conoscenza complessa non ha termine, perché è incompiuta e interminabile. Dietro di essa c'è l'indicibile e l'inconcepibile.
E' anche un'autobiografia morale, che diventa essa stessa una parte importante della filosofia stessa. Morin la definisce auto-etica e consiste nella capacità del singolo individuo di autonomizzare l'etica, fondandola esclusivamente su se stessi, sullo scrupolo dell'autocritica, sulla consapevolezza della complessità e delle tante possibili derive umane, sulla morale della comprensione e sull'etica della comunità.
Dall'etica della comunità Morin prende l'ipotesi più affascinante da perseguire nella nostra epoca, l'idea di Terra-Patria, di estendere, cioè, l'etica di comunità a tutti gli esseri umani, ben sapendo che l'identità del nostro universo è la catastrofe, sia per la straordinaria deflagrazione che l'ha fatto nascere che per le forze di dispersione, disintegrazione, collisione, esplosione, distruzione, che lo dominano. A questa crudeltà fisica del mondo si unisce la crudeltà terrificante nelle relazioni fra umani, individui, gruppi, etnie, religioni, razze. Nell'uomo tuttavia convivono la crudeltà del mondo e la bontà. Da qui nelle ultime pagine l'appello a resistere. “Resistere innanzitutto a noi stessi, alla nostra indifferenza e disattenzione, al nostro lassismo e al nostro vittimismo, alle nostre cattive pulsioni e meschine ossessioni”. Resistere in nome e con amicizia, carità, pietà compassione, tenerezza.
Edgar Morin trasmette una filosofia ed una personalità complesse, che non finiscono mai di interrogarsi, perché sono curiose ed aperta a tutto, toccando sia le corde della ragione più sottili, che anche quelle dei sentimenti. In questa continua sintesi, che egli opera tra fisico e psichico, tra materia e esseri viventi, l'orizzonte che ha sempre presente è la nostra felicità.
Pur essendo Morin un intellettuale geniale è al tempo stesso umile, perché la sua è la genialità del lavoratore, di chi con fatica, ma con una inflessibile determinazione, illumina. Il contrario, per esempio, di Jean Baudrillard, in cui, spesso, si coglie il desiderio di stupire con acrobazie intellettuali non sempre rigorose o necessarie.
Il limite? Il bisogno forse di comunicare è così necessario, che ci sono nel libro delle riprese degli stessi concetti. Non si può parlare banalmente di ripetizione, ma è indubbio che una maggiore asciuttezza avrebbe reso più fluida la lettura.
Edgar Morin. I miei demoni. (Mes démons). Traduzione di Laura Pacelli e Antonio Perri. Meltemi. Pag. 255.