22 gennaio 2010

“Una donna di immaginazione” di Thomas Hardy


di Gianni Quilici


Sono le due della notte. Voglio leggere. Ho una decina di libri iniziati, in tempi diversi. Scelgo Pessoa. Leggo due-tre pagine. Troppo dense per penetrazione di pensiero e poesia. Dovrei meditarci, scrivere. Lascio perdere. Decido di prendere una “short stories” uscita lo scorso anno, “Una donna di immaginazione” di Thomas Hardy, allegata a Repubblica-L'espresso. Un racconto di neppure 50 pagine in versione originale inglese, con la traduzione accanto. Inizio e finisco dopo le tre. L'ho letto “tutto d'un fiato”.

Perché?
Primo: è una storia in cui i personaggi hanno un loro “segno specifico profondo”, che si fa vedere e si fa sentire.
Lei è minuta, elegante, snella con una scintilla luminosa e liquida negli occhi, poetessa desiderante, senza però avere la capacità di esserlo davvero. Lui, il marito, è un industriale che fabbrica armi, alto e longilineo, perennemente assorbito dal suo lavoro, che mantiene solitamente con la donna un rapporto tenero e tollerante. Lei, che non aveva avuto grosse difficoltà ad accettarlo, le consentiva, infatti, una vita agiata e senza pensieri, lo trova ora gretto e grossolano.
In questa coppia, il cui rapporto sta mutando, si insinua come immaginario, quindi senza mai saperlo, un terzo: un poeta, un giovane solitario e sensibile, che ha da poco pubblicato un libro di poesie...

Ognuno di questi personaggi vive una solitudine propria. Mai si verifica un vero incontro. Il marito proietta la sua identità ed ha le sue gratificazioni nel lavoro. La donna vive un amore, senza mai incontrarlo, se non sulla pagina. Il poeta proietta il suo desiderio di corrispondenza amorosa su una donna totalmente immaginata, neppure trasfigurata come nel Dolce stil novo.
Un romanzo che ha radici sociali ottocentesche: la solitudine qui non è data dalla molteplicità (di rapporti), ma dall'isolamento (dell'esistenza). E' lo spazio e la significanza dell'immaginario, che determina poi il senso e la direzione della vita dei protagonisti.

Secondo: questa storia tuttavia riesce a diventare appassionante, perché rappresenta, attraverso il punto di vista della donna, un flusso di desideri, che rompono il tran tran di una vita abitudinaria e coatta, cercando di trovare una via di fuga e di realizzazione.

Il desiderio di “vedere come andrà a finire” nasce dal tumulto dei sentimenti che sgorgano nella donna, dal desiderio di realizzarli, dai comportamenti coraggiosi, dalla successione imprevedibile dei fatti... Il finale con la sua esemplare, geniale asciuttezza esprime -come si osserva nell'introduzione- una filosofia disperata dell'esistenza, che risente dell'influenza della filosofia tedesca negativa da Schopenhauer a Stirner. Cosa c'è stato,infatti? Solitudine, inconsapevole indifferenza, casualità, tragedia. Cosa rimane? Nulla. Perfino gli “innocenti” pagano.

Thomas Hardy. Una donna di immaginazione (An Imaginative Woman). Traduzione di Mauro Formaggio. La biblioteca di Repubblica-L'Espresso.