Nel saggio che tento di sintetizzare, il noto filosofo del linguaggio avanza tesi antropologiche assai spiazzanti a proposito della (provo a chiamarla così) modalità di conoscenza.
Mi pare che lo studioso metta in primo piano le potenzialità evolutive di quella che Freud ha definito “coazione a ripetere”, collegandola al rito e ad un originario bisogno di regresso verso un’esistenza pre-umana.
Sembra tutto molto oscuro, ma non è così. Ogni giorno sperimentiamo, spesso a nostra insaputa, co-azioni che sconfinano con la ritualità: gesti dettati dal subconscio che, ripetendosi, non si servono e non hanno necessità delle parole.
Tale dimensione del rito, prelinguistica, tende a decostruire l’intera realtà culturale per dar modo al nuovo di emergere.
E’ un meccanismo pieno di pericoli, perché ha a che fare con un “regresso all’infinito”, verso un archeo-passato in cui l’umano si dissolve.
Ciò che concorre a bloccare questo “e così via” con un “basta così!” è la modalità della negazione (non è così, non voglio), insieme a quella della possibilità (fare scelte positive).
Dalle tecniche escogitate dall’homo sapiens fin dal suo esordio per l’esercizio di queste tre fondamentali capacità (negazione, possibilità, bloccaggio del regresso) origina, se ho ben capito, l’intero processo di acculturazione umana.
Paolo Virno – E così via all’infinito. Bollati Boringhieri, 2010
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