19 febbraio 2011

"Un poeta alla volta: Francesco Sollima" di Gianni Quilici









Un aiuto


Nell’infinito presente dove tutto converge,

negli infranti momenti in cui tutto crolla,

nei richiami d’aiuto che non hanno risposta.

Comprenderai di dovertela cavare da solo.


Come le stelle si attraggono nel cielo,

come tutti i gruppi di corpi celesti gravitanti,

come tutto il ciò che ci circonda è collegato;

basta capirne logica e significato.

Scoprirai che non siamo mai veramente soli.


Francesco Sollima ha soltanto 16 anni e da poco scrive poesie. Gli abbiamo chiesto quando ha iniziato.

E' cominciato tutto all'agrario, l'inverno scorso, quando dovetti recuperare un insufficente ad italiano. L'argomento era appunto la poesia. E mentre studiavo le figure retoriche mi venne in mente di scrivere, così su due piedi. Ho iniziato parlando della guerra, poi, data la mia età, mi sono concentrato a sfogare le mie preoccupazioni e felicità, senza pensare all'effetto che avrebbero dato ad un presunto lettore. Quello per me era diventato un bisogno”.

Nonostante l'età eccetera eccetera, Francesco dimostra di avere uno stile ed un controllo della materia, in una fase dell'esistenza, in cui i sentimenti possono sfuggire al controllo autocritico.

Leggiamo la prima strofa.

Il primo verso “Nell'infinito presente dove tutto converge” ci proietta immediatamente nella grandezza senza limiti del tempo e della sua unitarietà; per poi, nel secondo, all'opposto divenire soltanto “infranti momenti in cui tutto crolla”, in cui non si hanno risposte “nei richiami d'aiuto”. Ecco, la bellezza di questi versi si potrebbe sintetizzare così: solitudine di attimi nell'infinito del tempo. La conclusione della strofa è un salto di riflessione esistenziale, quasi un aforisma: “Comprenderai di dovertela cavare da solo”.

A questo rappresentazione della condizione umana e riflessione sulla stessa si intreccia il ritmo dato dalla ripetizione, quasi anafore, delle preposizioni articolate, nell'infinito presente, negli infranti momenti, nei richiami d'aiuto, che donano musicalità e forza al senso della poesia.

La seconda strofa approfondisce, in modo dialettico, la solitudine: se è vero che si è soli, è anche vero “che non siamo mai veramente soli”, perché tutto l'universo è collegato: dai corpi celesti all'esistenza terrena. Qui la poesia non ha forse la stessa felicità della prima strofa, perché più dimostrativa e meno visiva, ma comunque consequenziale e sempre necessaria.

Sarebbe poi necessaria una lunga riflessione su come fare poesia a scuola: come leggerla, come interpretarla, come scriverla per “tirare fuori” i desideri, le sofferenze, le visioni che spesso rimangono inespressi e pericolosamente nascosti.

da Arcipelago, giornale dell'Arci di Lucca