I comandi alleati – e segnatamente gli inglesi – poi diffidavano del nostro esercito, rilevandone, a volte impietosamente e più con la crudezza del vincitore che con la solidarietà dell’alleato, precedenti prove di scarsa efficienza e insufficiente combattività. E, purtroppo, il disastro dell’8 settembre, voluto dalla corona e dagli alti comandi, sembrava dare ragione a tali giudizi negativi.
Pure era di estrema importanza morale e politica che unità regolari italiane partecipassero alla liberazione del paese dalla presenza tedesca. Non vanno dimenticate, infatti, le premesse formulate alla firma dell’armistizio da parte degli anglo-americani, per cui il trattamento riservato all’Italia al momento della pace sarebbe stato determinato anche dal contributo militare alla guerra antitedesca. Ma le prove di eroismo fornite dai nostri soldati di quella tarda estate del ’43 a Roma, in Corsica, in Grecia, in Jugoslavia, testimoniarono di una rinnovata vitalità antitedesca dell’esercito italiano.
Inoltre, l’opinione pubblica democratica inglese ed americana insisteva, in polemica anche con i circoli conservatori dei rispettivi paesi, per una nostra diretta partecipazione alla guerra e per offrire agli italiani tutte le occasioni possibili di riscatto dalla lunga notte del fascismo. Ecco, per esempio, quanto sosteneva con intelligente senso storico, il deputato laburista inglese Ivor Thomas in sede di dibattito parlamentare alla Camera dei Comuni il 21 settembre ’43 “… ci sono esempi delle qualità combattive dei soldati italiani, che dimostrano come essi possano combattere quando stanno combattendo per il diritto… Gli italiani non hanno realmente combattuto in questa guerra, poiché combattevano una guerra per loro odiosa. Date loro una buona causa, ed essi mostreranno che possono combattere altrettanto bene di qualsiasi altro soldato… la Legione Garibaldina Italiana in Spagna fece alcuni eccellenti combattimenti nella penisola, e contribuì notevolmente alla sconfitta fascista a Guadalajara”.
Così, mentre la spinta offensiva alleata dopo lo sbarco di Salerno si andava rapidamente esaurendo poco al di là del Sangro e si arrestava sul Garigliano e sul Rapido, il Comando supremo alleato finalmente permetteva che si ricostituisse a Brindisi, con mezzi esclusivamente italiani, un piccolo corpo combattente, il I° Raggruppamento motorizzato.
Limitato a 5500 uomini, in massima parte volontari, il Raggruppamento risultava, forzatamente, piuttosto eterogeneo costituito da un battaglione anticarro proveniente dalla Divisione ‘Piceno’, da tre battaglioni di fanteria, da un reggimento di artiglieria, da genieri, carabinieri, autieri, mentre il quadro ufficiali veniva completato coni giovanissimi allievi dell’Accademia Navale di Livorno. Toccava al generale Dapino, già comandante della ‘Legnano’, il compito, tutt’altro che semplice, di riorganizzare, coordinare, amalgamare uomini dalla provenienza e dalla esperienza assai diversa, vincendo al tempo stesso disorientamenti, sfiducia, diffidenza.
Trascorso un breve periodo di addestramento presso Lecce (e solo dopo una sorta d’esame generale, tenutosi a fine novembre a Monte Sarchio) gli Alleati decidevano di portare in linea di combattimento il Raggruppamento Motorizzato integrato tra le truppe della V° Armata Americana agli ordini del generale Clark.
Nella notte tra il 6 ed il 7 dicembre, gli uomini di questo ricostituito primo embrione di un rinnovato esercito italiano, prendevano posizione attestandosi a cavallo della importante rotabile Napoli-Cassino-Roma, sostituendosi agli ormai logorati soldati americani del 142° Reggimento. Eravamo ormai alla vigilia del battesimo del fuoco.
Obbiettivo del Raggruppamento era la conquista di Monte Lungo, punto chiave di ogni altra successiva volontà offensiva: un dosso scabro, roccioso, privo di vegetazione saldamente tenuto dal III° Battaglione del XV° Regg. Panzergrenadiere e da esperti reparti della divisione Goering, sistemati lungo posizioni quasi imprendibili scavate nella roccia e nelle caverne. All’alba dell’8 dicembre, tra la nebbia, l’assalto, l’azione, in un primo tempo riuscita, veniva arrestata quando i soldati italiani scoperti sul fianco sinistro e privi di un valido aiuto da parte dell’artiglieria americana, subivano un violentissimo contrattacco tedesco. Fanti e bersaglieri si inchiodavano allora sulle proprie posizioni, resistendo, attaccando di nuovo, misurandosi in feroci, cruenti corpo a corpo con gli sperimentatissimi veterani della Goering. Pur duramente provato il Raggruppamento rimaneva in linea fino al giorno 16 dicembre, quando, nel contesto di un’azione più ampia e meglio concertata, realizzava il proprio obbiettivo: la conquista della quota 343 di Monte Lungo su cui, per la prima volta nella guerra, si videro sventolare assieme il tricolore e la bandiera americana.
Da parte americana non mancarono riconoscimenti – e Dio sa, se i nostri soldati e la fragile compagine del Regno del Sud ne avessero bisogno! – alla condotta delle nostre truppe. Così si esprime in un messaggio al comando del Raggruppamento il gen. Clark: “Desideravo congratularmi con gli ufficiali e soldati al vostro comando per il successo riportato nel loro attacco a Monte Lungo e su quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d’Europa”. Gli fa eco il gen. Walker, comandante la 36° Divisione americana, scrivendo al gen. Dapino: “L’operazione combinata per l’occupazione di Monte Lungo, che è stata recentemente condotta a termine, è un grande successo. Il modo col quale tutte le truppe partecipanti hanno svolto il loro compito merita il più grande elogio. Nell’adempiere al loro compito operativo le vostre truppe hanno agito con grande prontezza e vigore ed hanno dimostrato una ferrea volontà di battersi con il nemico”.
Anche la stampa internazionale, al di qua e al di là dell’oceano, si impadronisce della notizia del positivo esordio delle nostre Forze Armate nella guerra a fianco degli Alleati, confortando quanti, negli U.S.A e in Gran Bretagna, avevano avuto fiducia nel nostro popolo e nei suoi soldati. Lo stesso quotidiano conservatore Times, sempre fedele alla linea del governo inglese di ridimensionare la portata del contributo italiano alla guerra, non può, in una corrispondenza ‘a caldo’ del 15 dicembre, tacere della volontà di combattere e dell’eroismo dimostrato dai nostri soldati: “ Molto è stato detto circa la prima apparizione degli italiani in linea, ed è ora possibile riconsiderare la loro prova. Hanno sofferto perdite pesanti, una circostanza che è stata messa a carico della inabilità nei primi stadi dell’attacco. Fu tuttavia una prode inabilità. Essi avanzarono per la salita, alpini e bersaglieri, marciando diritti e cantando. Incontrarono un fuoco imprevisto di mitragliatrici e mortai sul loro fianco sinistro, che ritenevano sicuro; l’errore può essere come può non essere stato loro. Essi medesimi dicono che iniziarono l’azione troppo presto dopo il loro arrivo in linea per riconoscere il terreno su cui dovevano avanzare;… Nonostante le perdite sotto le mitragliatrici essi si avvicinarono tanto al nemico per venire al combattimento alla baionetta e a bombe a mano, Guadagnarono terreno, e poi dovettero ritirarsi, ma si aggrapparono ad una zona del terreno che avevano guadagnato, e tuttora vi si aggrappano”.
Il prezzo pagato dai nostri soldati, in questa vicenda bellica definita da qualcuno un secondo Monte Grappa della Patria, fu di 76 caduti, 263 feriti, 166 dispersi. Senza retorica e con la semplicità che deriva dall’essersi battuti per una causa giusta, così suona la lapide apposta presso il cimitero militare di Monte Lungo: “ Quando era per i fratelli smarriti vanità sperare, follia combattere, noi soli quassù accorremmo, invitti per te cadendo, Italia!”.