Vado a Pasolini e alla nostra trentennale privazione del suo insegnamento, “mi fingo” nella sintomaticità della sua solitudine, nella sua prodigiosa frequentazione di entrambe le versioni del reale - il divenire, l’immutabilità – (l’audace connessione mi è favorita da Alias, supplemento del “Manifesto”, che alle pagine 10-11 titola Gettare il proprio corpo nella lotta).
Speranza e invettiva, caparbia volontà di trarre fuori dalla caducità corporea – dalla casualità dell’estasi e del pensiero – un segno complessivo che si sa e si vuole contingente e precario ma proprio per questo appassionatamente infinito, metavitale, non-mortale. E una capacità preziosa di far scaturire anche dalla versione forse più funerea – anche se certamente la più potentemente luciferina – della sessualità ( la pederastia, ovvero il sesso più distante dalla procreazione) un senso altissimo e moralmente intransigente dello stare insieme.
Dalla vetta del Pisanino, 30 ottobre 2005