Vendola a Pietrasanta, foto di Gianni Quilici |
di Davide Pugnana
Mentre ascoltavo
Vendola nella filippica di Pietrasanta, ti confesso Gianni che ho felicemente
peccato di dannunzianesimo, dimenticandomi per mezz'ora il terribile stato
della politica italiana; lo scollamento tra le parole e le cose che sempre più
ammorba il politichese; le logiche capitalistiche e le cosche di potere; il
cinismo montiano; la scuola ridotta a brandelli - i tanti elementi sviscerati
da Vendola -, e senza più schermi protettivi né filtri, mi sono colpevolmente
abbandonato al morbido flusso oratorio, alla cortina iridescente delle
metafore, all'inanellarsi delle frasi e degli aneddoti, all'habitus letterario
di certe costruzioni, alle confessioni tolte dal suo vissuto.
Per
mezz'ora mi sono colpevolmente disteso nell'estetica del discorso politico; per
mezz'ora, mitigando l'incendio e gli sbreghi che il presente ci lascia sulla
pelle; per mezz'ora accucciato dentro un fiume trasparente dal quale potevo
osservare tutto il presente; cogliere ogni dettaglio, magari stupirmi di
addentellati ai quali non avevo mai pensato; additare le leve storte; ma
soprattutto un fiume in corsa verso la bellezza che, pur rimanendo nel letto
del contemporaneo, me lo ha fatto dimenticare.
Non so se sia gusto del paradosso, estetismo o
demagogia; non so se un politico "vada ascoltato così", denudando
l'orecchio di qualsiasi coscienza critica e non so neppure se ci sia un'educazione
all'ascolto del discorso politico, ché se andiamo a cercarla c'è una
fenomenologia per tutto. So solo che l'eloquenza di Vendola mi ha fatto
l'effetto della musica classica: ti siedi per un'ora, dimentichi il tempo, non
senti lo sbigottimento della morte (della società, della religione, dell'arte,
della politica) e stacchi col mondo pratico; o sai che si può narrarlo anche
così, tirando fuori oro dal fango,come Baudelaire predicava al "pittore
della vita moderna".
Caro
Davide,
sai come mi ha detto un mio parente
ideologicamente e politicamente di centro-destra? “Vendola? Parla troppo
difficile, non si capisce”.
Lo capisco, ma in realtà non è così. Vendola
si capisce benissimo, perché prima di capirlo lo si percepisce. E la percezione
è la prima facoltà di un processo di apprendimento. E questa è una delle differenze tra il
governatore pugliese e la stragrande maggioranza dei politici che occupano la
TV.
Se
poi “uno” ha avuto la possibilità di assistere ad uno dei suoi comizi, il mezzo
in cui Vendola dà il meglio di sé, perché gli consente di concatenare
ragionamenti fino all’invettiva o all’urlo di dolore, oppure di vederlo su You
Tube, in uno dei comizi realizzati durante l’ultima campagna regionale, si
scopre che il suo pubblico è fatto anche di “persone semplici”, che gli
vogliono bene per ciò che riesce a trasmettere.
Ma
c’è comunque un elemento di verità in quello che ha avvertito il mio parente,
che però rovescerei in ciò che tu hai colto benissimo. Vendola ha uno stile,
cura in modo accurato il linguaggio e la profondità dei suoi contenuti come
prima di lui aveva fatto (e continua a fare) Fausto Bertinotti, e prima ancora
Lucio Magri.
Per
questo il tuo modo di ascoltarlo è più vero e giusto di quanti ne colgano soltanto
o soprattutto i contenuti politici. Perché intrinseca nella cura del suo
linguaggio, “in cui breve accensioni poetiche si accoppiano a precisioni
tecniche, da professionista della politica” (1), è prorompente una questione
estetica, a cui Vendola, unico leader
europeo per quanto ne sappia, ha dato e dà un risalto politico essenziale: la
bellezza. La bellezza come uno degli obiettivi fondanti dell’agire politico.
Quindi:
la bellezza in tutte le coniugazioni possibili. La bellezza del paesaggio nella
sua armonizzazione con la configurazione di un quartiere, di un paese, di una
piazza, di una scuola, di una strada, di un insediamento industriale. Oppure,
per fare un esempio, invece, più esistenziale: la bellezza delle parole e del pensiero, del
parlare e del colloquiare, dell’ascoltare e del sentire, dell’ immaginare e del
prefigurare.
La
bellezza non come puro estetismo, ma come complessità di tanti elementi tra
loro collegati, come cura e creatività, come sedimentazione della memoria e
movimento, che cambia e ci cambia, che ci rende più aperti e fraterni.
Solo
cenni questi, caro Davide, su cui alcuni pensatori hanno scritto pagine
essenziali per un’antropologia politica nell’epoca della globalizzazione e
dell’informatizzazione, ma su cui la politica e i politici poco o nulla si
interrogano. Tranne Vendola ( e pochi altri) appunto.
Gianni Quilici
1.
Lidia Ravera in “La vita che vorrei” di
Nichi Vendola e Lidia Ravera. Dino Audino Editore. Pag. 7.
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