di Gianni Quilici
Sono dei racconti, che, immagino, devono aver creato
felicità a Antonio Tabucchi via via che li realizzava. Come enuncia il titolo,
infatti, sono racconti di sogni. Sogni di sogni, perché a realizzarli sono
artisti, ed anche Dedalo lo è nel suo essere mitico, che oltre a sognare ad
occhi chiusi hanno sognato ad occhi aperti.
Li trascrivo, perché l’informazione
è essa stessa, in questo caso, un immaginario. E quindi Dedalo, Ovidio, Apuleio, Angiolieri, Villon,
Rabelais, Caravaggio, Goya, Coleridge, Leopardi, Collodi, Stevenson, Rimbaud,
Cechov, Debussy, Toulouse-Lautrec, Pessoa, Majakovskij, Garcìa Lorca, Freud.
La felicità che intravedo in queste pagine nasce da
un’immaginazione spesso mirabolante ( ho pensato, a volte, a Collodi) con un’
aggiunta, in questo caso, decisiva: questi sogni sono legati ad una conoscenza
profonda di chi li ha fatti. Rappresentano folgorazioni dell’inconscio:
ossessioni e felicità, situazioni esistenziali e destini specifici. Essendo
sogni non hanno la linearità cronologica, ma sorprendono per i continui
mutamenti spaziali e narrativi, che rovesciano, stravolgono, illuminano. E’
questa capacità di lavorare visivamente sull’inconscio che consente a Tabucchi
di raggiungere due risultati: fornirci un ritratto profondo dell’autore
sognante e darcelo attraverso racconti liberi da inquadrature didattiche e
pedagogiche, immersi, al contrario, nell’imprevedibilità degli istinti
storicamente determinati.
I sogni sono tutti di buon livello e alcuni forse sono “piccoli capolavori”. Penso ai
sogni di Apuleio, Angiolieri, Stevenson, Majakovskij, Garcia Lorca, alla
bellissima chiusa di Rimbaud.
Prendiamo, per esemplificare, il sogno di Majakovskij.
3 aprile 1930, ultimo mese di vita del poeta. Da un anno sogna di trovarsi
sulla metropolitana di Mosca, ha sempre amato la velocità, il futuro, ma ora ha
l’ansia di scendere e rigira un oggetto che tiene in tasca. Una vecchietta ha
paura di lui. Ma io sono solo una nuvola, la rassicura. Scende alla prima
stazione, va alla toilette, tira fuori il pezzo di sapone che aveva in tasca,
ma non riesce a far andare via lo sporco dalle mani. La polizia politica lo
vede, lo ferma, lo perquisisce, trova la saponetta, lo porta al tribunale sotto
la stazione e lui viene condannato seduta stante alla locomotiva, perché colto
in flagrante delitto “portava in tasca l’oggetto della sua losca attività”.
Viene spogliato e vestito di una blusa gialla, portato su una locomotiva
sbuffante con un boia con il cappuccio e uno scudiscio, attraverso immense
campagne e pianure e viene costretto a recitare versi di celebrazione e di
retorica, mentre la gente, distesa per terra con i ceppi ai polsi alza i pugni e lo maledice e maledice sua
madre. “Allora” termina Tabucchi “Vladimir Majakovskij si svegliò e andò in
bagno a lavarsi le mani”.
Un sogno terribile, che rappresenta un’epoca e una
condizione, con un finale secco come conseguente continuazione del sogno, un
sogno la cui simbolicità è più realistica della realtà stessa.
Antonio Tabucchi. Sogno di sogni. Sellerio editore
Palermo. Pag. 86.
Nessun commento:
Posta un commento