di Gianni Quilici
“L’uomo che pianta gli alberi”, che riesce a trasformare una
zona arida e desolata, “un’antica
regione delle Alpi che penetra in Provenza”,
in un territorio ricco di vegetazione e di acqua, che si rianima anche
di vita, contiene un messaggio pedagogico molto evidente: quello che ha fatto
questo pastore lo può fare, in una certa misura, chiunque.
Ma questo messaggio funziona, perché riesce a mantenere, per
buona parte del racconto, una sua poetica attualità.
Primo: trasmette una nostalgia per ciò che era e non c’è
(quasi) più: cioè luoghi nell’Occidente completamente disabitati, dove ci si
può perdere, con il rischio di morire di sete, come poteva succedere allo
scrittore stesso, Jean Giono.
Secondo: rappresenta un pastore che, per alcuni versi,
potrebbe condensare un modello di “uomo nuovo”, in una società altamente
tecnologizzata come la nostra. E cioè: un’estrema concentrazione verso uno
scopo non individualistico, ma sociale; un rapporto direttamente fisico con la
natura, la cura dell’ambiente e il suo sviluppo armonico; la precisione e la
meticolosità nell’operare.
La parte finale del racconto è più debole, anche se fosse
realistica, perché troppo ottimisticamente lineare, da sembrare un po’
favolistica, rispetto a ciò che è successo e sta succedendo nell’occidente
europeo.
I disegni del grande ritrattista Tullio Pericoli sono avvolgenti e grandiosi, ma, in questo caso, non
vanno molto al di là dell’illustrazione del racconto.
Jean Giono, Tullio
Pericoli. L’uomo che piantava gli alberi. L'Homme qui plantait des arbres. Traduzione di Luigi Spagnol. Salani Editore. Pp. Euro 16,80.
Nessun commento:
Posta un commento