Un
fenomeno recente che accomuna tutte le letterature occidentali e non solo? La
progressiva e sempre più larga affermazione tra il pubblico dei lettori del
romanzo poliziesco, in tutte le sue accezioni. E ai trionfi in libreria e nelle
classifiche dei best seller, ribaditi dall’apparizione di nuove collane
e nuovi autori, si accompagna - e questo è il dato di maggiore novità - il
definitivo venir meno di quelle diffidenze, resistenze e veti della critica che
hanno sempre accompagnato, fin dalla sua nascita, questa forma di letteratura
popolare.
Certo,
oggi l’atteggiamento di critici e recensori è completamente mutato, da quando nel
1924, Richard Austin Freeman, popolare autore anglosassone di romanzi/enigma,
era costretto sconsolatamente a constatare: “I critici e i letterati di
professione tendono a bandire con disprezzo il romanzo poliziesco […] come
qualcosa che si colloca al di fuori del dominio della letteratura e a
considerarlo un prodotto di scrittori rozzi e assolutamente incompetenti,
destinato a fattorini, commesse e, insomma, ad un pubblico privo di cultura e
di gusto letterario”.
Eppure,
durante tutta la prima metà del XX secolo, non erano mancate voci autorevoli che
avevano spezzato più di una lancia in favore di questo genere di letteratura e
che avevano contribuito ad emanciparla da ogni considerazione negativa e
subalterna.
Sono
ovviamente proprio gli scrittori che dovevano la loro fama al romanzo
poliziesco quelli più attivi nella riflessione sul significato del genere. Per
esempio, G.K. Chesterton, celebre inventore del personaggio di padre Brown,
sacerdote cattolico e investigatore: “Il valore fondamentale del poliziesco
consiste nel fatto che è la prima e unica forma di letteratura popolare nella
quale è espresso il senso della poesia della vita moderna […] Non può sfuggire
ad alcuno che in queste storie l’eroe, ossia l’investigatore, attraversa Londra
con qualcosa della solitudine e della libertà di un principe in una fiaba del
paese degli elfi. Nel corso di un viaggio imprevedibile, l’occasionale autobus
assume i colori originali di una nave fatata. Le luci della città brillano come
innumerevoli occhi di folletti; sono i guardiani di qualche segreto, comunque
brutale, che lo scrittore conosce e il lettore no. Ogni angolo di strada è un
dito puntato su di lui, ogni fantastica linea di camini contro il cielo sembra,
selvaggia ed ironica, indicare il significato del mistero”.
E
se John Carter, studioso e difensore del poliziesco, rivendica quarti di
nobiltà intellettuale al genere - “il romanzo poliziesco è la lettura preferita
di uomini di stato, di professori delle nostre più antiche università: in
conclusione, di tutta quella parte del pubblico intellettualmente più viva” -,
con la spregiudicatezza propria del grandi T.S. Eliot non esita a spingersi
ancora più in là e ad offrire legittimità addirittura alla thriller story,
che correva parallela alla detective story, ne era percepita come una
degradazione e la si giudicava vicina piuttosto ad un genere deprecabile come
il feuilleton: “Coloro che sono vissuti prima che termini quali
‘narrativa intellettuale’, ‘thrillers’ e ‘narrativa popolare’ fossero
inventati, si accorgono che il melodramma è perenne e la passione per questo
deve essere soddisfatta. Se non possiamo ottenere questa soddisfazione da ciò
che gli editori presentano come ‘letteratura’, allora leggeremo con sempre
minor pretesa di nasconderlo, ciò che chiamiamo thrillers. Ma nell’epoca d’oro della narrativa melodrammatica non
c’era tale distinzione. I migliori romanzi erano thrilling”.
Se
termini come trivialliteratur, paralitérature, livre de chevet
… evidenziano la percezione critica negativa o, al massimo, un’accettazione
condiscendente nei confronti del poliziesco, non mnacano giudizi, se non
positivi, almeno problematici sull’argomento da parte di alcuni significativi
personaggi della grande cultura tedesca degli anni Venti/Trenta del Novecento.
Intanto il saggio di Siegfried Kracauer, Il romanzo poliziesco Un
trattato filosofico, scritto
tra il 1922 e il 1925 e pubblicato postumo nel 1971. L’ironica analisi dei
luoghi e delle figure ricorrenti in questa particolare convenzione narrativa -
la hall d’albergo, il detective, il poliziotto, il criminale, lo scioglimento
dell’intreccio - condotta da Kracauer mira ad interpretare il detektiv-roman
come lo specchio deformante di una società completamente civilizzata e razionalizzata,
in cui si evidenzia meglio che altrove, il carattere “intellettualistico” della
società moderna e la vittoria e il dominio della ragione su di essa: “La fine
del romanzo poliziesco rappresenta la vittoria incontrastata della ratio […] Non esiste alcun romanzo
poliziesco in cui il detective alla fine non abbia fatto luce sull’oscurità e
dedotto i fatti banali senza lasciare lacune”.
Per
Bertolt Brecht il romanzo poliziesco nasce dal feuilleton, ma se ne
differenzia, perché, pur essendo popolare si rivolge ad un pubblico colto,
desideroso di praticare un continuo ragionamento logico, insomma è il corrispettivo
di una partita a scacchi. Per il poeta e drammaturgo tedesco, il romanzo
poliziesco: “per quanto primitivo (e non soltanto da un punto di vista
estetico), appaga le esigenze degli uomini che vivono in un’epoca scientifica
senz’altro più di quanto non facciano le opere dell’avanguardia”.
La
natura schiettamente borghese di questo genere di letteratura non poteva, poi,
sfuggire alla riflessione di un osservatore asistematico e curioso come Walter
Benjamin. Il filosofo e saggista berlinese la percepisce come la manifestazione
di una classe sociale che, dopo aver conseguito i propri scopi economici e
politici, soddisfatta e consapevole della propria egemonia, aspira, nella vita
privata a costruirsi uno spazio appartato, staccato dal sistema dei rapporti
affaristici, una turris eburnea
dove proteggere e curare la propria rigida moralità. Benjamin notava che il
romanzo poliziesco non aveva cercato i suoi personaggi negli ambienti della
malavita e negli slums della città (come spesso accadeva nel feuilleton),
ma aveva preferito gli scenari borghesi della media e alta borghesia dove i
misfatti cruenti si consumavano senza brutalità e i corpi si abbattevano sui
morbidi tappeti della biblioteca privata, dello studiolo, del salottino: “I
criminali dei primi racconti polizieschi non sono gentlemen né apache,
ma privati borghesi”.
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