di Gianni Quilici
“La classe” è un romanzo di François Bégaudeau, da cui è stato realizzato, successivamente, il film
omonimo di Laurent Cantet, vincitore
a Cannes della Palma d’Oro nel 2008.
L’ho letto lasciando che mi scorresse veloce negli occhi e mai mi sono fermato a pensare, sottolineare, indugiare, memorizzare i personaggi.
Sono troppi i nomi di studenti e insegnanti che si incontrano nel romanzo e sembra quasi, nella loro fugacità, che non siano importanti in quanto personaggi, ma per delineare una situazione, in cui i dialoghi sono preponderanti e fulminanti e spesso non si capisce chi sia a parlare.
Il romanzo, infatti, è
costruito per brevi episodi, che hanno come luogo la scuola: la classe
soprattutto, la sala insegnanti, la presidenza, i corridoi. Ciò che rimane è la
situazione, che diventa accumulo di situazioni, che diventano quella particolare scuola. Una scuola
che vive come crocevia di razze, di nazionalità, di culture: francesi, arabi,
africani, asiatici, che vivono condizioni familiari difficili o una conoscenza
linguistica del francese precaria.
Una scuola, quindi, dove gli
insegnanti sono continuamente chiamati a dover far fronte a problemi
disciplinari, o di scarso interesse; dove insegnare è ansia, fatica,
frustrazione, prostrazione.
L’originalità del romanzo e
il suo valore documentale e letterario si trovano soprattutto nel protagonista:
un io narrante, che accetta la sfida e
assume atteggiamenti variegati nei confronti degli alunni: provocatorio quasi
sempre, a volte con ironia, sarcasmo e perfino violenza verbale; molto mobile
didatticamente, attento alla lingua nei suoi aspetti grammaticali, lessicali,
concettuali e anche filosofici. Con un metodo aperto: più che dare risposte
pone domande, con gli occhi del romanziere
attento ai dettagli, a ciò che indica una tipologia, una moda, un modo di
essere.
Linguaggio veloce, vivo, a
volte surreale, implicito, fitto di dialoghi di botta e risposta, secco, molto
giocato sul visibile, su ciò che si vede o si intravede, divertente. Due esempi
esemplari:
«Come si chiama quando si
dice il contrario di quello che si pensa facendo capire che si pensa il
contrario di quello che si dice?»
«Prof la sua domanda mi fa
venire il mal di testa».
«Qual è la domanda, prof?»
«Forse ironia?»
«Be', sí, è esattamente
questo. Provate a fare una frase ironica».
«Lei è bello».
«Grazie, ma la frase
ironica?»
«Lei è bello».
«Ok, perfetto, grazie tante».
«Prof fa troppo caldo,
facciamo lezione fuori».
«Certo, vuoi anche una coca?»
«Lei esagera, prof».
Insomma una fotografia
ironica e impietosa, che non scava a fondo per scelta, sulla difficoltà di
essere insegnanti oggi, ma anche adolescenti, in un mondo che vive una
transizione a cui non siamo preparati.
François Bégaudeau – La classe. Entre le murs. Traduzione di Tiziana Lo Porto, Lorenza Pieri. 223
pag., Edizioni Einaudi.
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