Storico tra i più
importanti del XX secolo, l’inglese Eric J. Hobsbawm (1917 – 2012) ha studiato
soprattutto le origini della rivoluzione industriale britannica e della classe
lavoratrice inglese, riservando un’attenzione particolare al sorgere dei
movimenti spontanei di opposizione al capitalismo agrario. Intellettuale di
ferme convinzioni marxiste mai abdicate – si legga il suo recente saggio Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo, 2011 – Hobsbawm,
scomparso solo qualche mese fa, ultranoventenne, è stato studioso dagli
interessi vasti e per niente dottrinari: merita in proposito di essere
ricordata una sua Storia sociale del jazz, 1982, scritta con l’occhio del
sociologo e la passione del musicofilo.
Storico capace di
coltivare nel corso della sua lunga esistenza interessi accademici ed
eterodossi e di parlare tanto agli addetti ai lavori quanto al lettore comune,
con Il secolo breve 1914-1991, 1994, Hobsbawm ha realizzato
un’opera fondamentale della storiografia contemporanea, pur ammettendo di
essersi accostato “a questo periodo senza la conoscenza della letteratura
scientifica che lo riguarda e solo con qualche infarinatura delle fonti
archivistiche che i numerosissimi storici del ventesimo secolo hanno
accumulato” (Prefazione e Ringraziamenti).
Il libro, non propone solo un’originale periodizzazione del secolo scorso, ma,
l’Autore, con la partecipazione del testimone, ne rilegge le più importanti
macromanifestazioni (crisi economiche, guerre totali, velocissime
trasformazioni, manifestazioni artistiche, cultura di massa e conquiste
scientifiche) e oggi, a vent’anni dalla sua pubblicazione, si pone come
elemento imprescindibile in ogni ragionamento sulla contemporaneità e sul
nostro passato recente.
La Grande Guerra e il crollo dei regimi del “socialismo reale” segnano i confini del
Secolo breve, la cui struttura, per usare le parole dell’autore, “appare come
quella di un trittico o di un sandwich
storico. A una Età della catastrofe, che va dal 1914 sino ai postumi della
seconda guerra mondiale, hanno fatto seguito una trentina d’anni di
straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale che probabilmente
hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo
di analoga brevità.” Hobsbawm definisce questo tempo mediano l’Età dell’oro, a
cui sarebbe seguita “un’epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi..
“Dal favorevole
punto di osservazione degli anni ‘90”, scrive lo storico inglese, “sembra che
il Secolo breve sia passato attraverso una breve Età dell’oro, nel suo cammino
da un’epoca di crisi a un’altra epoca di crisi, verso un futuro sconosciuto e
problematico, ma non necessariamente apocalittico.” “Se l’umanità deve avere un
futuro nel quale riconoscersi”, ammonisce lo studioso anglosassone “non potrà
averlo prolungando il passato e il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo
millennio su questa base falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire
l’alternativa a una società mutata, è il buio”.
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