di Mimmo Mastrangelo
Del resto non è una novità che ci sia curiosità ed attesa intorno all’uscita del nuovo film di Mario Martone, Il giovane favoloso”, dedicato alla figura di Giacomo Leopardi di cui il regista napoletano già per la scena aveva curato l’illuminante raccolta
de “Le operette morali”. Finito di girare lo scorso mese e prodotto
anche attraverso una grossa operazione di tax-credit in cui sono coinvolti soggetti privati, il film dovrebbe restituire un profilo quasi inedito del poeta recanatese (interpretato da Elio Germano): non l’icona di un uomo afflitto dalle nebbie dell’inquietudine, ma l’immagine di un pensatore moderno, oppositore alla linea razionalista e dal temperamento ironico e socialmente spregiudicato.
Ma nell’attesa che Martone completi il lavoro di montaggio, sono stati appena pubblicati da Donzelli Editore, per la curatela di Roberto De Gaetano e Bruno Roberti, gli atti di un convegno dedicato al regista, promosso dall’Università
della Calabria e tenutosi nell’ottobre del 2012 a Cosenza. Con il
titolo “Mario Martone: la scena e lo schermo”, l’opera raccoglie
quattordici saggi (tra gli altri, quelli di Rino Mele, Gianfranco Capitta, Emiliano Morreale, Daniele Dottorini, Giona A.Nazzaro) i quali esaminano in
lungo e in largo una carriera artistica ormai ultratrentennale.
Ovviamente mettersi ad analizzare il lavoro multidisciplinare di
Martone significa imbattersi in una delle più alte espressioni della
cultura italiana contemporanea il cui atto creativo è semplice e al
contempo spiazzante.
Un artista-intellettuale è Martone sempre molto attento nel curare la forma, il linguaggio, un’ idea di teatro, cinema, lirica, ma principalmente dedito a marcare una visione etico-civile, a mettere in risalto le contraddizioni della realtà, i controsensi del presente andando a rivisitare capitoli (non ufficiali e dimenticati) della storia del passato.
E poi non si può non sottolineare del regista il continuo saltare da un contesto all’altro, da un registro all’altro, che trova spiegazione in quel suo credo tutto shakespeariano che al cospetto di un mondo (di una disciplina) c’è sempre un universo-altrove, un differente immaginario dove poter sperimentare modelli di lavoro e inediti orizzonti di arte (e di ideali). “Il modello di lavoro – scrive Rino Mele, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo all’Università di Salerno -
è uno schema semplice che produce, a ogni passaggio, nuova
fascinazione; un figura geometrica raddoppiata in un’altra, un quadrato
ripetuto nel successivo, legati strettamente e mai coincidenti, una
tensione a una metamorfosi negata e riproposta…”.
Naturalmente mettersi ad esaminare e studiare la creatività di Mario Martone vuol dire obbligatoriamente non trascurare un fuoco di fila di messinscene e film che
ormai sono dentro la storia del teatro, della lirica e del cinema
italiano, si pensi alle rappresentazioni di “Tango glaciale”, “Il
desiderio preso per coda”, “Ritorno ad Alphaville”, “Rasoi”, “Edipo Re” e per la lirica “Così
fan tutte” e “Lulù”, si pensi ai film “Morte di matematico napoletano
(1992), “L’amore molesto” (1995), “Teatro di guerra” (1998), “L’odore
del sangue “(2004) e il capolavoro “Noi credevamo” (2010) .
Ma citare Mario Martone obbliga altresì ad enunciare “compagnie-comunità” di eccellenti attori (Toni Servillo, Antonio Neiwiller, Licia Maglietta, Anna Bonaiuto, Vittorio Mezzogiorno, Carlo Cecchi, Renato Carpentieri) che nel corso degli anni si sono formate e consolidate,
sciolte e rincontrare ottenendo un consenso internazionale e portando
il loro contributo a quella irripetibile stagione (in era bassoliniana)
del Nuovo Rinascimento Napoletano.
Ma
per capire fino in fondo Martone e la sua arte, il suo metodo di
lavoro, il suo legame con gli attori bisogna soffermarsi sullo “autoritratto” proposto nel volumetto di De Gaetano e Roberti e che il regista presentò come lectio in occasione del convegno di Cosenza dove gli fu conferita anche la Laurea Honoris Causa in Linguaggio dello Spettacolo. In particolare colpisce
quando il regista precisa che il suo teatro sin dall’inizio si è
sviluppato per non essere né tradizione né avanguardia, ma spazio, scena
analitica strutturata secondo le sequenze impalpabili del cinema e
della musica. E in merito al cinema (al suo cinema) scrive Martone “La
nascita di un film è in me
segnata da un punto di attrazione inspiegabile. E’ un punto che si può
trovare in un libro, in una storia raccontata per strada o parlando con
un amico, non fa nessuna differenza. E’ una sensazione. Questo punto si
accende, si illumina e ti attrae perché tu lo raggiunga”.
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