A sancire nel tempo il legame di affetto tra quella località umbra e l’Eroe, un albero: un cipresso, ancora oggi vivo e vitale, piantato nell’orto sottostante la piazza che a Garibaldi sarà dedicata anni più tardi
Intanto quattro eserciti gli danno la caccia: il borbonico Statella gli muoveva contro alle spalle del Tronto; a Rieti l’aspettano gli Spagnoli di don Consalvo; gli Austriaci del maresciallo D’Aspre, il feroce fucilatore dei patrioti livornesi nel maggio 1849, accampati in Umbria di fronte a Foligno, gli chiudono le via di Perugia e Ancona. Proprio da Perugia verso Todi partono 8000 austriaci con sei pezzi di artiglieria, comandati dal generale Stadion con l’ordine di “ridurre al dovere le masnade che infestano le terre occupate dalle vittoriose armi dell’Impero”, mentre l’accesso alle Legazioni è impedito dal Gorzkoski. Nel frattempo, da Roma l’Oudinot fa avanzare verso Civita Castellana addirittura un’intera divisione e alcuni battaglioni di cavalleria con alla testa il generale Morris. I Francesi e gli Austriaci sembrano aver dimenticato secolari inimicizie e collaborano all’inseguimento tra la simpatia e l’incoraggiamento di reazionari e moderati.
La morsa si stringeva sempre più e mentre i garibaldini prendevano la via della Toscana meridionale, le truppe francesi entravano a Orvieto e quelle spagnole e borboniche si insediavano a Terni, Narni e Spoleto. A loro volta gli austriaci del generale Klische De La Grange occupavano Perugia e Foligno. A Todi arrivava da Perugia un distaccamento austriaco agli ordini del Primo Tenente Tommaso Widensky che venne persuaso dal Valentini a non infierire sui repubblicani
Dopo una breve stagione di libertà l’intervento straniero riportava a Todi il dominio pontificio. Tornava il “governo dei preti” e con esso un clima politico - culturale cupo, arcigno, fatto di minacce, quando non erano vere e proprie persecuzioni, nei confronti degli esponenti più in vista dell’area liberale, la negazione di ogni riferimento alla parentesi democratica, (i “passati disordini”), la pratica diffusa di spie e informatori sguinzagliati per ogni dove.
Forse era ancora troppo giovane Luigi Morandi per cogliere la grandezza tragica di quella vicenda. Certo è che il passaggio di Garibaldi e la sua quella breve sosta dovevano lasciare una traccia indelebile nel cuore e nelle coscienze dei todini e alimentare progetti e aspettative destinati a sopravvivere alla sconfitta. Protagonisti di questa resistenza morale e civile alcune importanti figure di riferimento: il conte Girolamo Domenici, già tenente della Guardia Repubblicana; il conte Lorenzo Leoni, ex ufficiale della Guardia Civica a Roma nei primi mesi del 1848; un prete tudertino, don Abdon Menicali, ammiratore di Garibaldi e sostenitore della politica piemontese; il poeta e letterato Giuseppe Cocchi, amico di Gino Capponi, ritornato a Todi nel 1851 dopo un doloroso esilio fiorentino. Ed è nella memoria dei passati esempi di eroismo, nella dedizione alla causa nazionale, nella speranza dei cambiamenti prossimi a venire che cresce il giovane Luigi Morandi.
Era nato a Todi nel 1844 da un’umile famiglia e solo a 17 anni era riuscito a iscriversi presso la Scuola Normale di Perugia: per mantenersi agli studi esercitava l’attività di contabile e, a sua volta, insegnava come maestro presso le scuole serali. A 19 anni è docente presso le scuole secondarie di Spoleto, dove fonda una “Rivista di letteratura per l’Umbria e le Marche”. Scriveva anche sulla “Sveglia”, “giornale politico settimanale per la democrazia”, una testata di stampo progressista, che rappresentava uno dei primi tentativi di far sentire a Perugia e nell’ Umbria una voce diversa dalle posizioni moderate della classe dirigente. Collaboravano, sforzandosi di offrire punti di vista ed elaborazioni non limitate agli interessi umbri ma capaci di confrontarsi con i temi generali e proponendo una visione più moderna delle grandi questioni italiane, molti intellettuali del periodo: Raffaele Erculei, Ercole Ovidi, Luigi Pianciani, Luigi Castellazzo, Concetto Procaccini, Paolo Geymonat, Emilio Lelmi, Annibale Cocchi.
Nel 1867 lo troviamo a Monterotondo con la camicia rossa di Garibaldi. Così dà notizie di sé e di quei giorni alla fidanzata che lo aspettava trepidante nella città umbra:
“E’ questa la terza volta che oggi ti scrivo; perché mi restavano ancora a dirti molte cose. E prima di tutto, io non so se a mia madre sia nota la mia partenza. Tu a quest’ora l’avrai comunicata a Galuppi. Ebbene ti prego che a lui tu dia le mie nuove, acciocché egli a sua volta possa darle a mia madre, se occorre…Riceverai da Firenze una copia del giornale il “Diritto”, nel quale troverai la narrazione di quanto abbiamo fatto, scritta da me stamattina. Io sto sempre con Pianciani e col Generale. Ti basti per ora che ti dica che abbiamo sofferto molto e molto goduto.. In questo momento passa sotto le mie finestre la nostra banda che, che gira suonando l’inno di Garibaldi. Io provo una gioia febbrile, che non si può ridire a parole; ma il cuore mi si spezza pensando alle vittime che ci costa questa vittoria. Abbiamo più di centocinquanta morti e duecento e più feriti! Lascio di scrivere perché sento che il Generale s’è affacciato alla finestra, per parlare ai Volontari… Ripiglio la penna commosso. Il generale ha fatto un magnifico discorso, annunziando che farà fucilare quei Volontari che rubassero o che commettessero altri delitti. Perciò si è costituito il Tribunale di guerra, del quale io sono segretario. Ha terminato annunziando che alle due pomeridiane egli parte alla volta di Roma. adesso è l’una! Abbiamo un’ora di tempo… Scrivimi! Scrivimi e preparami una bella camicia rossa che ancora non ho, ma che mi farò in Roma, per poi barattarla con quella apparecchiata dalle tue mani".
Monterotondo, 27 ottobre 1867”
Un ruolo di responsabilità il suo, ricordato anche da Anton Giulio Barrili in Con Garibaldi alle porte di Roma:
“Il tribunale era composto del colonnello Pianciani, presidente, di me, e del tenente Enrico Copello, giudici aggiunti, faceva da segretario il tenente Luigi Morandi, già noto all’Italia come gentile poeta, più tardi come prosatore valente e come maestro di umane lettere al giovane principe di Napoli”.
Deluso, ma tutt’altro che sconfitto, il tono del Morandi qualche giorno più tardi, dopo la dolorosa vicenda di Mentana:
“Mia cara. Dopo tre giorni di marcia faticosissima su per queste montagne, eccoci nello Stato italiano coi quattro battaglioni comandati dal Pianciani. Dall’ordine del giorno col quale si è dichiarato sciolto questo Corpo e che vedrai stampato potrai farti una chiara idea del come sono andate le cose nostre. Abbiamo dovuto cedere alla prepotenza francese; ma il nostro onore è salvo.. La camicia rossa non s’è macchiata di viltà. Dirti tutto quello che sento è impossibile. Pianciani adesso piangeva come un fanciullo nel congedarsi dai soldati. A lui questa campagna costa qualche migliaio di scudi, che è passato per le sue mani. Abbiamo consegnato le armi alle autorità italiane, al grido di Viva l’Italia. A noi ufficiali hanno lasciato la sciabola. Fra tre giorni sarò nuovamente nella mia nicchia di Spoleto. Orvinio, 8 novembre, alle sette pomeridiane”.
La “nicchia di Spoleto” è la cattedra presso il locale Ginnasio: successivamente, Morandi ottenne l’ insegnamento di italiano nell’Istituto tecnico di Forlì (1874), di Parma e poi di Roma (1879), dove l’anno dopo fu nominato professore pareggiato all’Università di Roma.
Ma la passione per la camicia rossa avrebbe continuato ad agire nella coscienza e nella memoria del Morandi, ormai affermato intellettuale, docente stimato e avviato a una brillante carriera politica. Ecco, alcuni suoi versi in cui si agita ancora il mito garibaldino
Garibaldi diceva a’ suoi guerrieri:
Figli! con me si mangia e dorme poco.
Chi a casa nostra non vuol più stranieri,
non deve ma trovar posa né loco,
e per valli e per monti, i mesi interi,
sempre al sole, alla neve, all’acqua, al foco.
Con me chi vuol portar veste d’onore,
se la deve acquistar col suo valore.
Una camicia bianca avete indosso:
col vostro sangue tingetela di rosso.
S’è perduta nel mare la conchiglia
che tingeva la porpora ai tiranni;
s’è perduta, e mai più non si ripiglia,
né si rifà con l’oro e con gli inganni;
ma la santa Camicia ognor vermiglia
sarà veduta , e passeran mill’anni.
Finché di patria durerà l’amore,
si troverà per tingerla il colore;
finché di patria durerà l’affetto,
per tingerla c’è sangue in ogni petto.
Certo, dopo Mentana Luigi Morandi avrebbe conosciuto conobbe quella evoluzione politica che era stata propria di molti esponenti democratici: una lenta conversione all’idea monarchica che fu anche di Crispi, Nicotera, Depretis, Benedetto Cairoli, Alessandro Fortis, di letterati illustri come Giosuè Carducci…
Ed è in questo nuovo orizzonte ideale che si consuma la restante biografia di Luigi Morandi, critico, filologo poeta, drammaturgo, maestro di letteratura italiana al principe di Napoli (1881-1886), una particolarissima esperienza di insegnamento ben raccontata in Come fu educato Vittorio Emanuele III, Torino, 1898.
L’età della “prosa risorgimentale”, subentrata dopo gli “eroici furori” giovanili, lo vide soprattutto letterato capace di personali intuizioni critiche - fu tra i primi a riconoscere il genio di Giuseppe Gioacchino Belli – e docente operoso, ricco di un’ intelligente sensibilità per le questioni dell’educazione letteraria e civile delle giovani generazioni. Tra le opere che testimoniano dell’originalità dei suoi interessi meritano di essere ricordate Stornelli e altre poesie, Sanseverino Marche, 1867; Sonetti satirici in dialetto romanesco di G. G. Belli, Sanseverino Marche, 1869; Le correzioni dei Promessi Sposi e l’unità della lingua, Parma, 1879; Antologia della critica letteraria, Città di Castello, 1885, che fu la prima del genere “istruttivo e piacevole” con una modernissima attenzione ai testi extraletterari e in un’ottica finalmente antipuristica;Sonetti romaneschi di G. G. Belli, a cura di LUIGI MORANDI, Città di Castello, 1886 – 1889; Prose e poesie italiane, Città di Castello, 1896; Grammatichetta italiana (in collaborazione con G. CAPPUCCINI), Torino 1898;
Luigi Morandi percorse anche una brillante carriera politica: fu eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Todi nel 1892 e qualche anno più tardi, nel 1905, divenne senatore del regno.Morì a Roma il 6 gennaio 1922.
In occasione della sua scomparsa i todini vollero ricordarlo con un’iscrizione marmorea posta sotto le arcate del Palazzo del Capitano:
Qui grato il Municipio volle il ricordodell’insigne concittadino senatore del Regno
Luigi Morandi
garibaldino manzoniano dei primi,
illustratore sapiente della letteratura romanesca.
Grande fu il suo culto luminoso della lingua italiana
onde ebbe la lode di scrittori eminenti
e l’ufficio di precettore di Vittorio Emanuele III
MDCCCXLIV - MCMXXII.
1 commento:
Ciao,
la vostra recensione al mio bisnonno è molto bella, ma avrei degli importanti dettagli per una piccolissima correzione.
Contattatemi: 348/7490558
Grazie, Loredana Morandi
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