di Gianni Quilici
Irène Némirovsky, anche in questo romanzo breve o
lungo racconto, dimostra di avere una
notevole capacità narrativa nonché di penetrazione psicologica.
La capacità
narrativa è nell’attenzione ai dettagli e nel farli diventare flusso narrativo
coinvolgente.
La penetrazione
psicologica è nel lungo soliloquio della
protagonista, Ida, tra presente e passato , che scava così tanto e bene, che
noi lettori abbiamo negli occhi e nel pensiero la radice più profonda del suo
Io, nel momento in cui la sua vita sta cambiando, perché l’età che incalza non
le consente più di sostenere quel ruolo di bellissima ragazza, che ha calcato i palchi
della music-hall parigini, divenendo famosa, ammirata e indiscutibile “prima
donna”, a cui era ossessivamente legata. Dice di sé infatti:
“Quello di cui ho bisogno, quello che
apprezzo, quello che mi piace è l'amore della folla, l'ombra, il desiderio,
quel roco balbettio che aumenta nella sala quando compaio, quella bramosia
anonima... Quanto mi piace.. Perderla? No, piuttosto preferirei morire...”.
I primi segni della “vecchiaia”, la
mancanza di forze fisiche adeguate, la presenza di Cinthia, la sua fresca,
giovane, bellissima rivale fanno nascere in Ida un flusso di ricordi tra il
compiacimento di sé, la nostalgia e l’angoscia. Soprattutto l’angoscia.
Irène Némirovsky
coglie molte sfaccettature di questa solitudine: l’amore sfrenato per il
successo e il lusso, l’egocentrismo per quella che lei è stata e ancora crede
di essere, l’invidia delle colleghe, di cui si sente circondata e assediata, la
paura di perdere la sua supremazia, gli accorgimenti adottati per evitare rughe
e stanchezze, e i ricordi del passato, i ricordi degli amori che non sono stati
per egoismo e soprattutto un trauma, il più radicale: l’essere stata additata nella
giovinezza come la figlia di una tenutaria di un bordello, come la figlia di
una puttana.
Un racconto
perfetto, perché rappresenta un personaggio ed una situazione emblematica del
cabaret anni ’20, che in questa perfezione ha forse il suo limite. Perché rimane
una registrazione di una condizione veritiera ma senza contrasti, perché Ida
non ha voluto, né cercato, né forse voleva cercare n volere una qualche
libertà, né niente e nessuno l’ha messa in crisi o comunque in movimento, se
non il fluire inesorabile del tempo. In questo senso Ida rimane più che un
romanzo un racconto, un perfetto racconto lungo sulla decadenza di una donna
nella Parigi degli anni ’20, ma non si allarga, non vuole allargarsi ad una
crisi più generale che investirà l’Europa e porterà sconvolgimenti sociali e
politici.
IDA. Irène Némirovsky. Traduzione
di Monica Capuani. Elliot 2013. 64 pgg. Euro 7,50.
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