di Camilla Palandri
A
prima vista, leggendo l’introduzione, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte
ad un romanzo poliziesco, ma, fin dalle prime pagine, l’impressione svanisce.
Quella che la scrittrice ci presenta è una storia che parla di masochismo
affettivo femminile, di relazioni torbide e personaggi disturbati .
Donne
belle, giovani e meno giovani, si lasciano sedurre e si abbandonano completamente
al loro torturatore, l’affascinante poliziotto di mezz’età Kurt Janisch che
,attraverso il possesso fisico, mira ad impadronirsi dei loro beni materiali,
le case.
Sono
rapporti tortuosi quelli che lui instaura con le sue vittime, senza nessuna
concessione al sentimento, basati sul sesso brutale ed aggressivo. Le donne rappresentano
solo il mezzo per appagare la sua voracità di possedere.
E’
un’attrazione ossessiva quella che rende queste donne dipendenti fino a
diventare schiavizzate, totalmente incapaci di liberarsi dalla sottomissione.
Il
poliziotto sfrutta sempre la stessa tattica per avvicinare le sue prede e
renderle succubi: la divisa . Finge d’interessarsi a loro, ma in realtà è solo
l’avidità a spingerlo a frequentarle. Un’avidità non di corpi, ma di proprietà.
Insaziabile come il desiderio che alimenta nelle sue vittime disposte a subire tutto,
a consumarsi nell’attesa e a lasciare che distrugga le loro stesse vite. Donne
sole ed infelici che cadono nella sua trappola, perché rappresenta la
realizzazione del loro desiderio d’amore e per questo sono disposte ad annientarsi
fino alla morte.
Kurt
Janisch è un uomo senza scrupoli , non c’è alcun rimorso in lui, nemmeno quando
arriva ad uccidere la giovanissima e bella Gabi forse perché diventata scomoda
testimone della sua relazione con la matura e ricca Gerti. Con freddezza
occulta il cadavere nel lago e partecipa poi alle ricerche in veste ufficiale,
senza tradire la minima emozione quando esso verrà scoperto, sicuro della propria
impunità.
Ha
una vita di facciata il poliziotto, una famiglia come tante, una moglie che si
occupa della casa e cura il giardino, un figlio grande con un impiego, un
nipote. E’ il contesto di finta normalità che gli serve per agire indisturbato.
Nessuno conosce la sua vera natura nel piccolo paese della provincia austriaca
in cui abita. Nessuno forse scoprirà mai che è il diretto colpevole della morte
di Gabi e quello indiretto del suicidio finale di Gerti.
Il
linguaggio usato da
Elfriede Jelinek è spesso crudo e complicato. Risulta
difficile superare l’impatto iniziale perché lo stile è ostico, non coinvolge e
si ha la tentazione di abbandonare subito la lettura. Non è facile seguire il
filo degli eventi , la narrazione è continuamente interrotta da digressioni sui
temi più vari e le vicende sono più accennate,sottintese, che narrate, circondate
da una sovrabbondanza di parole che allontanano dal contesto e lasciano un
senso d’incompiuto al romanzo.
Non
è dato sapere quale sarà la fine del poliziotto, solo conoscere l’esito
drammatico
delle
sue seduzioni. La debolezza umana è ciò che maggiormente traspare nel
racconto,debolezza legata al sesso che si esprime nella sua forma più violenta
e distruttiva nel rapporto fra le vittime e il loro carnefice .
Voracità.
Jelinek Elfriede . Traduzione di Barbara Agnese. Frassinelli 2005, 409 p.,
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