di Luciano Luciani
L’attività,
l’impiego, il mestiere, l’occupazione, la professione… in una parola il lavoro: un dato strategico
nell’esistenza di milioni di uomini e donne perché per loro rappresenta l’unico
strumento per entrare in relazione con una fonte di reddito e, quindi, ne
determina sia il livello di vita, sia il progetto e l’organizzazione del
futuro.
I
modi concreti in cui si esercita il lavoro condizionano gran parte dell’idea
che ogni individuo finisce per avere di se stesso. Joseph Conrad, uno scrittore
apparentemente lontano da queste problematiche, acuto indagatore, però,
dell’agitarsi dei problemi esistenziali sullo sfondo della crisi della società
ottocentesca alle soglie della modernità, in un suo romanzo, Cuore di tenebra, trovò lo scatto di
originalità, per consegnarci, ancora oggi attuale, un’intuizione importante:
“Il lavoro non mi piace – non piace a nessuno – ma mi piace quello che c’è nel
lavoro: la possibilità di trovare se stessi. La propria realtà per se stessi,
non per gli altri – ciò che nessun altro potrà mai conoscere”.
E
cosa succede nella testa e nel cuore delle persone quando questo diritto/dovere
si fa sempre più fragile, precario, volatile? E quando, come purtroppo sta
accadendo con sempre maggiore frequenza in questi nostri ultimi difficili anni,
il lavoro viene a mancare del tutto, cosa avviene? L’esperienza e le cronache
dicono che il lavoro umiliato, offeso e negato determina solitudine e perdita
di identità, senso di inadeguatezza e caduta verticale di autostima. Produce
1,5 milioni di persone scoraggiate che neppure si attivano nella ricerca di un
altro impiego. Genera rabbia e disperazione che possono arrivare anche alla
tragica risposta individuale del suicidio.
Ne derivano crisi e depressione,
termini che, non a caso, economia e psicologia condividono: una crisi sociale
che si sta infiltrando negli aspetti più personali e profondi delle nostre vite,
una depressione che non può non richiamare quanti si occupano professionalmente
degli “altri” a una nuova vocazione civile.
Per
discuterne assieme, psicologi e sindacalisti, psicoterapeuti e amministratori
si sono ritrovati a marzo del 2013 presso la Cittadella di Assisi
per parlare di lavoro, ponendo al centro di questa riflessione collettiva le
parole di una famosa canzone di Patty Pravo anni ’60 per trattare, mezzo secolo
più tardi, non di amori perduti, ma di lavori persi: quello che gli adolescenti
non riescono più a sognare; quello chimerico inseguito dai giovani adulti;
quello da cui si rischia di essere estromessi in età adulta, all’improvviso; quello
che, in altri casi, non si potrà lasciare sino a tarda età; quello, ancora,
che, con preoccupazione, i genitori immaginano per i figli e le figlie.
Un
libro, Se perdo te… quando il lavoro manca, Crisi e arti terapie,
Pliniana 2013, raccoglie i contributi emersi in occasione di questo
interessantissimo e utile convegno: ma
non è un libro triste, non è intriso di malinconie sociali. Se le sue pagine
parlano – e non poteva essere diversamente - dell’immaginario del precariato, raccontano
anche di belle esperienze di auto mutuo aiuto come quella attivata presso la Camera del Lavoro di Milano,
di invenzioni sociali, di nuove e più piene relazioni con gli altri, di attimi
felici …
Se perdo te… quando il lavoro manca, Crisi e arti terapie,
Pliniana 2013
Nessun commento:
Posta un commento