foto Gianni Quilici |
Mattina solare.
Obiettivo Ceserana, paesino della
Garfagnana, già visitato diversi anni fa,(qui sopra la foto anno 2004),
di cui conservo un’immagine che vorrei rivivere.
Credo che il
viaggio diventi tale, quando si riesce a viverlo come aspettativa, come
sentimento. In più il sottoscritto ha bisogno di scolpirlo con immagini e
parole. Gli scatti fotografici sembrano apparentemente più facili, ma non se si cerca l’espressività, il senso,
l’eventuale poesia. Le parole sono sempre difficili e quindi faticose.
La luce si
accompagna al viaggio, se non che a Borgo a Mozzano una lunga fila, una di
quelle, che procedono per avanzamenti graduali. La causa? Lavori in corso
scopriamo. In queste situazioni bisogna avere una pazienza cinese,
eventualmente utilizzando un consiglio di Umberto Eco: utilizzare tutti gli
interstizi, soprattutto quelli di un’attesa obbligatoria, per lavorare con i
pensieri. Prendo il taccuino e scrivo, poi correggendola, una poesiola fantasy
che recita così:
Voglio
fortissimamente voglio
volare oltre la
fila
come se fossi un
effetto speciale
scendendo sulla
strada
con l’eleganza del
rallenty
portando con me
la stupefazione di
tutti
gli automobilisti quanti
Qualche Km prima
di Castelnuovo Garfagnana, a Fosciandora, una stradina a destra e poi subito a
sinistra porta a Ceserana. La strada è tipicamente garfagnina: si inerpica
stretta, con l’ansia, in certi tratti, di
vedere, dopo la curva, un’altra macchina.
Una breve e ripida
discesa ed ecco il parcheggino di Ceserana. Nessun cartello durante il viaggio
che segnali la rocca, neppure lì all’inizio del paese, tanto che inizio a
pensare “ma mi sarò sbagliato”. Anche perché il paese non ha niente di
straordinario. Una via che sale, qualche raro palazzo, un lavatoio in buono
stato, una fontana incorniciata. Quando dalla galleria di una casa ecco la
rocca! E questa merita il viaggio.
La rocca si erge
sopra il paese magnifica nello sfondo di colline verdeggianti, stretta da piccole mura ondeggianti con torretta. Della rocca, che fu un importante
presidio militare, è rimasta quasi
soltanto la chiesa romanica di S. Andrea del XII-XIII secolo, con il suo bel
campanile.
Salgo. Della
chiesa mi piacciono le pietre in calcare bianco disposte a filaretto, l’abside
semicircolare con capitelli decorati da geometrie floreali e, in un caso, da
figure umane: un prelato che consegna ad un pellegrino il bordone.
Ma soprattutto è il
campanile di pietre e mattoncini scuri con orologio bianco, che poggiando su una
struttura di base più ampia, si slancia e
si impone allo sguardo creando una commistione singolare tra il religioso (la
chiesa) e il laico (le mura).
La rocca non
sembra curata. L’erba è cresciuta alta e rigogliosa e certamente ora, in questa
primavera avanzata, conserva una sua
bellezza selvaggia.
Solo il
camminamento intorno alle mura di sassi tondi è libero da essa. Ecco un pozzo,
l’abside, una feritoia e poi scendendo l’unica bella torretta rimasta. Tutto intorno a 360°, a parte il vicino paese
La Villa, colline e montagne ricolme di un verde fronzuto.
Mi siedo su un
muretto: vedo una lucertola che guizza via, assaporo il venticello tiepido
nella luce già alta, sento, come in un romanzo agreste, il cinguettio vicino di
passerotti e il chicchirichì di un gallo più lontano, quando ecco inaspettati i rintocchi dell’orologio.
Uno, due, tre, quattro, cinque più un mezzo tocco. Sono le 11.30. Il tempo…
questa maledizione!
Ceserana. Lunedì 4 maggio 2016.
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