Forse troppe volte ci sentiamo obbligati ad una scelta definitiva che ci sottragga al caos dell'indistinto, che ci protegga da ciò che nel conosciuto non conosciamo, da ciò che ci fa paura perché suscettibile di evoluzioni imprevedibili. Imprevedibili. Questo è il punto.
Una scelta. Sarà poi una scelta questa? …o forse un
semplice modo per dire un basta che però, a ben guardare, non è una fine reale
della sofferenza ma un riproporla con drammi, contenuti, parole e toni
differenti, camuffati, perciò difficili da smascherare.
La scelta ci assilla e si
insegue il cambiamento. Termini da cui la bocca è inflazionata tanto che non
riesce più a mangiare per il
tanto…continuo…incessante…sfibrante…alienante…ruminare. Si crede che la scelta
ci possa mostrare orizzonti differenti, mezzi e strumenti nuovi per guardare
alla vita, nuovi occhi addirittura con cui vedere. Questa è la scena dello spot
che continua beffardo a correre sui binari vecchi e stridenti della nostra
mente.
Questa scelta è, ahimè, essa
stessa incapacità a vedere, un vacuo tentativo di assumere un umore differente
che possa guidare il nostro corpo verso diverse percezioni, solo uno spogliarsi
di vecchie cose che, abbandonate così violentemente, possono solo resuscitare
in forme diverse, più mostruose. Con queste
scelte ci sentiamo più forti perché si accompagnano ad uno
stranissimo…sottile…silenzioso…seducente…sentimento di padronanza verso il
destino rispetto a cui si crede di star agendo ma, a volte, è il desiderio di
sentirsi padrone di qualcosa a guidare le nostre scelte che, così, divengono
solo l’espressione esasperata di questa ricerca, a volte incontrollabile, di
essere.
Non è così. Lo scenario è uno
spot. La verità nascosta. La realtà rovesciata. Tiriamo il freno. I binari
stridono, il treno fatica a fermarsi, gli ingranaggi non si toccano da troppo.
Ecco, ci si ferma. Il percorso si inverte e la corsa rallenta.
A partire da un'umile
consapevolezza di quel che si è, da una vago sentire di quel che si vuole
essere e dalla fede in quel che si tenta di raggiungere, deve effettuarsi una
scelta e, laddove questa riesca a incarnare il desiderio soggettivo, più
autentico, semplice e originario, presentifica se stessi al mondo. E' solo da
questo che può derivare un duraturo, profondamente proprio, sentimento di
padronanza, di legittimità e di sostegno che deriva dall’aver saputo nel modo
più proprio direzionare la propria vita, affidandola a te e al caso.
Ma il più della volte le cose
non vanno così. Tra l'andare indietro e l'andare avanti, c'è la sottile linea
di mezzo. C'è la sosta o peggio la fermata. E ci si affida a scuse. Non solo
non riusciamo a vedere la realtà ma ci ostiniamo nel sopore di noi stessi, per
non guardar le nostre parti più deboli, vergognose, umilianti. Umane.
L’impossibilità, dunque, a proferire parola che possa rendere il nostro vivere
visibile al mondo, comunicabile agli altri e palpabile a noi stessi, spesso
troppo spaventati per vedere le ipocrisie e i rimandi che esistono nella nostra
mente.
Troppe bugie e troppi
sotterfugi sono disseminati dentro ognuno di noi, ci fermano, giustificando la
fermata.
Giugno 2001
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