08 maggio 2016

"La scelta" di Ilaria Stabile



Forse troppe volte ci sentiamo obbligati ad una scelta definitiva che ci sottragga al caos dell'indistinto, che ci protegga da ciò che nel conosciuto non conosciamo, da ciò che ci fa paura perché suscettibile di evoluzioni imprevedibili. Imprevedibili. Questo è il punto.


Una scelta. Sarà poi una scelta questa? …o forse un semplice modo per dire un basta che però, a ben guardare, non è una fine reale della sofferenza ma un riproporla con drammi, contenuti, parole e toni differenti, camuffati, perciò difficili da smascherare.

La scelta ci assilla e si insegue il cambiamento. Termini da cui la bocca è inflazionata tanto che non riesce più a mangiare per il tanto…continuo…incessante…sfibrante…alienante…ruminare. Si crede che la scelta ci possa mostrare orizzonti differenti, mezzi e strumenti nuovi per guardare alla vita, nuovi occhi addirittura con cui vedere. Questa è la scena dello spot che continua beffardo a correre sui binari vecchi e stridenti della nostra mente.

Questa scelta è, ahimè, essa stessa incapacità a vedere, un vacuo tentativo di assumere un umore differente che possa guidare il nostro corpo verso diverse percezioni, solo uno spogliarsi di vecchie cose che, abbandonate così violentemente, possono solo resuscitare in forme diverse, più mostruose. Con queste  scelte ci sentiamo più forti perché si accompagnano ad uno stranissimo…sottile…silenzioso…seducente…sentimento di padronanza verso il destino rispetto a cui si crede di star agendo ma, a volte, è il desiderio di sentirsi padrone di qualcosa a guidare le nostre scelte che, così, divengono solo l’espressione esasperata di questa ricerca, a volte incontrollabile, di essere.

Non è così. Lo scenario è uno spot. La verità nascosta. La realtà rovesciata. Tiriamo il freno. I binari stridono, il treno fatica a fermarsi, gli ingranaggi non si toccano da troppo. Ecco, ci si ferma. Il percorso si inverte e la corsa rallenta.

A partire da un'umile consapevolezza di quel che si è, da una vago sentire di quel che si vuole essere e dalla fede in quel che si tenta di raggiungere, deve effettuarsi una scelta e, laddove questa riesca a incarnare il desiderio soggettivo, più autentico, semplice e originario, presentifica se stessi al mondo. E' solo da questo che può derivare un duraturo, profondamente proprio, sentimento di padronanza, di legittimità e di sostegno che deriva dall’aver saputo nel modo più proprio direzionare la propria vita, affidandola a te e al caso.

Ma il più della volte le cose non vanno così. Tra l'andare indietro e l'andare avanti, c'è la sottile linea di mezzo. C'è la sosta o peggio la fermata. E ci si affida a scuse. Non solo non riusciamo a vedere la realtà ma ci ostiniamo nel sopore di noi stessi, per non guardar le nostre parti più deboli, vergognose, umilianti. Umane. L’impossibilità, dunque, a proferire parola che possa rendere il nostro vivere visibile al mondo, comunicabile agli altri e palpabile a noi stessi, spesso troppo spaventati per vedere le ipocrisie e i rimandi che esistono nella nostra mente.
Troppe bugie e troppi sotterfugi sono disseminati dentro ognuno di noi, ci fermano, giustificando la fermata.
Giugno 2001



Nessun commento: